Mai nessuna band nel rock come i Pink Floyd ha saputo conquistare estimatori provenienti da ogni ambito musicale: un pubblico trasversale che va dal sincero appassionato di musica all’ascoltatore generalista attratto dalla hit del momento. Fra album memorabili, show spettacolari, copertine iconiche, nelle sue cinque decadi di storia la band inglese ha saputo mettere d’accordo veramente tutti, belli e brutti, compresi i metallari.
Il fatto strano è che i Pink Floyd non hanno mai suonato mezza nota di rock duro, ma evidentemente, a scapito degli aspetti strettamente stilistici, la musica dei Nostri è portatrice di una grandiosità, di un grado di complessità concettuale, di una carica visionaria, di un fascino narrativo, e – perché no – di una pomposità tali da sedurre musicisti dalle grandi ambizioni come ve ne possono essere anche nell’universo metal.
I Pink Floyd ovviamente non fanno parte del DNA del metal, come per esempio è il caso delle band hard rock degli anni settanta (che furono di fondamentale ispirazione per i pionieri della New Wave of British Heavy Metal) o del punk (che fu incorporato nel sound aggressivo delle prime band thrash metal). I Pink Floyd costituiscono un discorso a latere nell’evoluzione del metal, e non a caso si inizia a parlare di influenze pinkfloydiane quando il genere si trova già in uno stato avanzato del suo percorso evolutivo, con solide certezze alle spalle e un grande potenziale da sviluppare.
E’ infatti verso la fine degli anni ottanta che il nome dei Pink Floyd inizia ad essere associato alle sonorità proposte da band come Voivod e Queensryche. I canadesi, che all’epoca venivano promossi come il punto di incontro fra Metallica e Pink Floyd (direi in modo avventato per quanto riguarda entrambi i riferimenti), erano animati da una verve sperimentale che richiamava in qualche modo la libertà compositiva della band inglese e, in particolare, la psichedelia spaziale dei primissimi lavori (non a caso in “Nothingface” si coverizzava in modo magistrale la barrettiana “Astronomy Domine”). La formazione di Seattle, invece, avrebbe inaugurato con “Operation: Mindcrime” la felice stagione dei “concept album esistenziali”, proprio incorporando certi escamotage e certi apparati concettuali dei tardi Pink Floyd (e là, non a caso, si citava testualmente “Welcome to the Machine”).
Ovviamente il prog metal (e quando parlo di prog-metal intendo un ventaglio ampio di artisti che va da Dream Theater e Fates Warning agli Opeth passando per i Tool) è stato un terreno fertile affinché i semi lasciati da Waters e compagnia potessero attecchire. Ma i Pink Floyd hanno saputo penetrare un po' ovunque, persino il metal estremo avrebbe fornito il suo valido contributo alla "causa pinkfloydiana" nel metal. Grazie alle gesta di band originate in seno al gothic metal (Tiamat, Anathema, The Gathering ecc.) o addirittura al feroce black metal (In the Woods... un nome su tutti) sarebbe stato accolto nel metal quell’approccio di “espansione del suono” che richiamava i Pink Floyd delle loro celebri “infinite suite” (approccio che, peraltro, si sarebbe rivelato fondamentale per gli sviluppi in direzione post-hardcore prima e post-metal poi - basti ascoltare gli album-cardine dei pionieri del genere Neurosis).
Si dice quindi Pink Floyd, ma bisogna leggere estrinsecazioni sonore molto diverse fra loro. Del resto la band inglese ha mostrato, almeno nel corso della parte creativa della sua carriera (direi i primi venti anni), un indomito spirito di ricerca ed una costante tendenza ad evolversi verso nuovi suoni, spesso innovando (con il fondamentale supporto, questo va riconosciuto, di produttori illuminati come Alan Parsons e Bob Ezrin).
Ai fini di questa straordinaria varietà di stili ed approcci riscontrati nella produzione pinkfloydiana (dalla psichedelia degli esordi al rock sofisticato dell'ultima fase, passando da forme che potremmo etichettare come progressive rock) ha di sicuro influito il fatto che nel corso degli anni si sono espresse almeno tre leadership diverse in senso alla band: anzitutto quella di Syd Barrett, genio visionario che ha caratterizzato gli esordi psichedelici della band, e poi le altre due che si sono confrontate ed affrontate dopo la sua dipartita: quella di Roger Waters, cantore psicotico che ha sviluppato gli aspetti più concettuali della musica della band, e quella di David Gilmour, chitarrista dallo stile inconfondibile, sostenitore di quel suono imponente ed elegante a cui siamo soliti associare il marchio Pink Floyd.
Ma la contrapposizione fra anima watersiana ed anima gilmouriana (con annesse tifoserie) è una semplificazione che tuttavia non rende giustizia alla vera storia della band, che solo nello scorcio finale del suo cammino ha visto fratture insanabili al proprio interno. C'è infatti da precisare che negli anni più virtuosi della propria esistenza la band ha marciato compatta, sviluppando landscape sonori che erano il frutto del talento di tutti e quattro i musicisti (con le maestose tastiere di Richard Wright ad offrire un pilastro fondamentale e i colpi di genio del batterista Nick Mason, le cui intuizioni si sono spesso rivelate parte irrinunciabile del "pacchetto" offerto dalla band).
Quanto ai tratti tipici pinkfloydiani che hanno trovato felice campo di applicazione nel metal, ci sentiamo di indicare i seguenti: il concept album di matrice esistenzialista (“The Wall” e “The Final Cut” sono emblematici in questo senso), la successione dei singoli brani che confluiscono l’uno nell’altro come unicum sonoro (“The Dark Side of the Moon” ne è un esempio calzante), e poi la suite monumentale in cui tutto può accadere (si pensi a composizioni come “Atom Heart Mother”, “Echoes” o “Shine on You Crazy Diamond”). Ma anche stilemi come l’assolo gilmouriano (poche note ma ben selezionate – gli assoli di brani come “Hey You” e “Comfortably Numb” faranno scuola), il soliloquio watersiano (dal sussurro all’acuto isterico, come accade spesso in “The Final Cut”), il basso ipnotico (vuoi cavalcante, come si sviluppa in "One of These Days" o "Sheep", vuoi strisciante e sinuoso, così come si manifesta in "Set The Controls to the Heart of the Sun"), i giochi di armonici (l'incipit di "Time"), la chitarra slide sognante ("Breathe"), gli effetti speciali (principalmente presenti nel background della narrazione principale: ancora “The Dark Side of the Moon” e “The Wall” ne offrono un ricco campionario).
Elementi, questi, che hanno trovato spazio a diversi livelli nel nostro genere preferito, dal guizzo del singolo musicista, che ha incorporato quei tratti nel proprio stile, al concepimento di album interi, il tutto miscelato in geometrie innovative che hanno trovato nel metal collocazione anche al di fuori di quanto offerto dagli stessi Pink Floyd.
Impossibile fare una lista completa di chi nel metal ha risentito, direttamente o indirettamente, esplicitamente o meno, delle influenze dei Pink Floyd. Il senso di questa nostra nuova rassegna è di scorrere semplicemente una serie di lavori che, in qualche modo, rappresentano il modo di essere pinkfloydiano nel metal. Si parte ovviamente dai Voivod, forse i primi ad essere definiti i "Pink Floyd del metal", anche se poi il loro sound, a guardar bene, tanto pinkfloydiano non è: per questo li definiamo il nostro "punto zero" della rassegna. Seguiranno altri dieci nomi, ed altrettanti titoli, tramite i quali andremo a descrivere il fenomeno, senza ovviamente ambizioni di esaustività...
(0) Voivod: “The Outer Limits” (1993)
(1) Queensryche: “Promised Land” (1994)
(2) Tiamat: “Wildhoney” (1994)
(3) In the Wood...: “Heart of the Ages” (1995)
(4) The Gathering: "Nighttime Birds" (1997)
(5) Fates Warning: “A Pleasant Shade of Gray” (1997)
(6) Anathema: “Alternative 4” (1998)
(7) Ayreon: “The Universal Migrator - The Dream Sequencer” (2000)
(8) Tool: “Lateralus” (2001)
(9) Neurosis: “The Eye of Every Storm” (2004)
(10) Nachtmystium: “Assassins: Black Meddle – part 1” (2008)
Ma prima di gettarci a corpo morto nella disamina di questi album, ci sembra doveroso fare una ripassatina veloce della discografia dei Pink Floyd con le nostre proverbiali “Guide pratiche per metallari”…
To be continued...