"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

15 ago 2023

FERRAGOSTO CON KING DUDE

 





Cosa possono avere in comune Johnny Cash, Elvis Presley, Ian Curtis, Douglas P. e...gli Entombed?

Si lascino un attimo da parte questi ultimi e ci si focalizzi sui nomi che li precedono: questi sono i riferimenti stilistici per inquadrare King Dude, creatura personale di Thomas Jefferson Cowgill (TG Cowgill per gli amici), con trascorsi nel metal estremo, ma autore di una proposta intrigante che mette insieme americana, folk apocalittico e post-punk. Ecco come ama descriversi lui stesso sulle pagine del suo sito ufficiale:


King Dude is a blue-eyed Mephistopheles with an acoustic guitar; he dresses like Johnny Cash and sings like he cut in line in front of Robert Johnson at the crossroads. His voice can shift from haunting and vulnerable to thunderous near-Biblical fury in the space of a breath, marrying the sacred to the profane with pomp, circumstance, and a curled lip. He sings about death the way he sings about fucking. With inspiration torn from country, blues, Americana, and British folk (and a background in heavy metal), King Dude’s raw, hypnotic hymns channel the past while staring straight ahead into a revelatory future.

Benissimo: una volta tanto, schiacciati fra il sole rovente del deserto e le fiamme dell'Inferno, possiamo celebrare come si deve un soleggiato Ferragosto! 

Averlo visto dal vivo in seno alla scorsa edizione dell’Incineration Fest ci ha riattizzato la fiamma. Lo avevamo sfiorato un paio di volte sulle pagine del nostro blog, prima parlando dei Ruins of Beverast (con cui King Dude condivise il palco nel 2017) e poi in occasione  del nostro resoconto sul festival appena menzionato. Adesso è giunto il momento di affrontare l’argomento in modo organico. 

Come si diceva sopra, il buon Cowgill aveva mosso i primi passi nell’ambito del metal estremo con i Book of Black Earth, di cui era voce e chitarra. Il gruppo era dedito ad un furioso death metal old school in stile Entombed e Dismember, funestato da iniezioni di sludge e da un'aura oscura che lo avvicinava a certe atmosfere sulfuree tipiche del blackened death metal. La band non brillava per una grande personalità, ma gli album rilasciati (tre in tutto fra il 2006 e il 2011) non sono malissimo, “rilucendo” essi di un malsano fascino underground. Da segnalare, inoltre, che il Nostro si era anche cimentato nel black metal con ORVKKL e Cross, tuttavia combinando ben poco con queste due band. 

Quando ancora i Book of Black Earth erano attivi, Cowgill decise di avviare in solitaria un proprio progetto extra-metal, i King Dude, che avrebbero debuttato nel 2010 con l'EP “My Beloved Ghost”, un riuscito crocevia fra folk americano e neo-folk di matrice britannica. E’ una voce tenorile, la sua, minimale, quasi un recitar cantando, una timbrica aspra e carezzevole che anima in modo perfetto ballate spiritate fatte di riff ossessivi e poco altro. Una musica colma di spiritualità, sospesa fra Amore e Morte, potremmo dire. 

I primi tre album a firma King Dude confermano la dimensione totalmente acustica e c’è da dire che la nuova veste calza bene al Nostro, tanto che lascerà perdere i Book of Black Earth per dedicarsi a tempo pieno al nuovo progetto. “Tonight’s Special Death” (sempre del 2010) è un lavoro tanto breve quanto intenso e consolida la formula del predecessore cristallizzandola in ballate di due o tre minuti che si impregnano dell'irrequietudine, ma anche della spavalderia, del proprio artefice. (Voto: 7)

Si farà ancora meglio con il successivo “Love” (2011), capolavoro della prima ora, dove le qualità di autore del Nostro trovano la piena sublimazione nel formato della ballata acustica. L’arte di Cowgill continua ad essere semplice ma incisiva come solo i maestri del neo-folk sanno essere: se il neo-folk, per motivi storici, era stato un fenomeno squisitamente europeo, la bravura di Cowgill sta nel trasferire quegli umori negli scenari desertici ed assolati della sua terra (un’operazione analoga a quella compiuta da band come Agalloch e Wolves in the Throne Room con il black metal norvegese). In un certo senso, il concetto non cambia: la musica dei King Dude guarda con nostalgia alla purezza di un passato irrecuperabile, ma qui, invece di cantare la gloria della Vecchia Europa, si tratteggiano i contorni di una apocalisse tutta americana, in una rielaborazione in “nero” delle radici e dei miti della Tradizione a stelle e strisce, con al centro la rievocazione dei fantasmi di Robert Johnson, Elvis e Johnny Cash. Ci vengono ancora in aiuto le parole di presentazione sul sito: "In a time when American folk music has lost touch with its bloody roots, King Dude seeks to illuminate the darkness with sex, death, love, insanity, and Lucifer’s light". (Voto: 8

Con “Burning Daylight” (2012) i suoni iniziano a sporcarsi e farsi minacciosi, fra riverberi e rombanti percussioni. La musica, qui più che mai, odora di America rurale, whisky e polvere, di amore, morte, di peccato e perdizione: il terzo album di King Dude è una discesa apocalittica fra praterie e valli scoscese, un instabile, irrequieto viaggio che dischiude definitivamente l’anima oscura di Cowgill, un licantropo ululante armato di chitarra.  (Voto: 7.5)

Quell'approccio più sporco e blues era stato solo una avvisaglia: si chiudeva un ciclo, perché con “Fear” (2014) la musica in parte muterà spostandosi nettamente verso la dimensione del post-punk. Il quarto album rappresenta la svolta “elettrica” del progetto, che a questo punto evoca più le fattezze di una band che quella del menestrello solitario. Ovviamente la poetica di Cowgill rimane illesa, ergendo scenari di sublime perdizione e perversione, ma questa volta la sua calda voce baritonale sarà accompagnata da chitarre distorsioni e ritmiche battenti, in un riuscito alternarsi fra rock (sudicio, maledetto, desertico) e le consuete ballate folk.  (Voto: 7)

Da segnalare a questo punto un paio di collaborazioni interessanti: una con Chelsea Wolfe (eroina del cantautorato dark contemporaneo che abbiamo avuto modo di incontrare spesso sulle pagine del nostro blog) e l'altra con Julie Cruise (compianta musa di David Lynch – quella, per intendersi, che cantava nella colonna sonora di “Twin Peaks”): pubblicazioni che confermano un'attrazione morbosa per atmosfere crepuscolari, se non tenebrose, irriducibilmente legate alla dimensione rurale americana. Un ulteriore elemento del contesto del periodo è l'uscita nel 2014 della serie TV di successo "True Detective" che rilanciò a livello di immaginario collettivo il filone narrativo Southern Gothic con le sue torbide storie di sangue calate nei piccoli centri della desolante campagna del sud degli Stati Uniti. Questo è solo un ulteriore esempio per far capire come la distanza fra folk americano e folk apocalittico di matrice europea, una volta vista come incolmabile, sia in realtà più risicata di quanto si pensi. Forte di un immaginario di questo tipo King Dude si pone così fra i più credibili, se non il più credibile, degli esponenti del neo-folk americano contemporaneo. 

Eccoci dunque a “Songs of Flesh and Blood – In the Key of Light” (2015), quello che ci sentiamo di eleggere come il capolavoro a firma King Dude. In esso si conferma la formula ibrida tentata con il lavoro precedente, ma qui l’integrazione fra elettricità e componente acustica avviene in modo ancora più riuscito, palesando una maturità di scrittura ed una ispirazione finalmente baciate da arrangiamenti curati, pur non perdendo essi il loro carattere minimale. Fra questi solchi si trovano le migliori ballate del Nostro (si pensi alla bellissima “Deal with the Devil”) immerse in un contesto di varietà stilistica che guarda tanto allo spleen decadente del post-punk quanto alla strafottenza del rock'n'roll. Il tutto condito da striscianti suggestioni esoteriche che ammantano i brani di un ulteriore fascino misterico.  (Voto: 8)

E’ del 2016 il successore “Sex” che, a modo suo, cambia ancora le carte in tavola. Qui la dimensione acustica è quasi del tutto sacrificata in favore di un approccio più duro e visionario. L’elettricità è il fil rouge che unisce tutti i tasselli del mosaico, che si tratti di blues maledetto o arrembante punk-rock. La stessa voce di Cowgill si fa più feroce ed altisonante, incarnando la simbiosi perfetta fra la fragilità di un Ian Curtis e la maleducazione di Iggy Pop. Fra polvere, vento rovente, sangue e odore di incenso si consuma l’ennesimo colpo vincente di una carriera che, fino a quel momento, non aveva compiuto passi falsi. (Voto: 7.5)
 
Non vi saranno grandi scivoloni nel cammino di King Dude, ma si avverte nei lavori più recenti una lieve flessione quanto ad ispirazione. “Music to Make War to” (2018), dunque, rinverdisce la formula con un approccio ancora più aperto alla contaminazione, attraverso arrangiamenti che prevedono pianoforte (non una novità, questa), sassofono ed un utilizzo di voce femminile (nemmeno questa una novità). Il risultato sono brani ritmati che evocano il goth-rock irruente di Sisters of Mercy e Fields of the Nephilim, ballate spettrali à la Nick Cave e sprazzi di cabaret noir degni della più lurida e fumosa balera ai confini del deserto. Il tutto, però, condito da un pizzico di mestiere. (Voto: 7)

Si era giunti probabilmente ad una fase di saturazione di quel tipo di sonorità. Si gira dunque pagina e con il successivo “Full Virgo Moon” (2020) si voltano le spalle alle elettricità, ricercando l'ispirazione nella dimensione acustica, riuscendoci, aggiungo io. Sorta di “Love” parte seconda, il nuovo album di King Dude, a scapito della inquietante copertina (tutte molto belle, peraltro), è una raccolta di intense ballate per lo più fatte di voce, chitarra e piano, con arrangiamenti minimali a valorizzare una profondità di scrittura che dischiude l’anima più cantautoriale del progetto.  (Voto: 7.5)

E’ interessante a questo punto menzionare un’altra collaborazione, questa volta con Der Blutharsch. I nostri lettori, quelli perlomeno che hanno avuto la briga di leggere la nostra rassegna sul post-industrial, sanno che il progetto austriaco è stato fra i più importanti fra gli esponenti del controverso genere che risponde al nome di martial-industrial. Cosa dunque c’azzeccano i desolanti scenari di guerra e le atmosfere da Cortina di Ferro abilmente ritratti dal panzer austriaco con il cantautorato desertico di King Dude? C’entrano c’entrano. Intanto si consideri che Albin Julius da un certo punto in poi si è dato al rock psichedelico, tanto che il suo progetto ha cambiato il nome nel più accomodante Der Blutharsch and the Infinite Church of the Leading Hand. Considerate inoltre che Julius, anche ai tempi del più glaciale industrial, era fortemente influenzato dalla musica di Ennio Morricone. Tutto più chiaro adesso? E così “Black Rider on the Storm” (2022) è un un esperimento riuscitissimo che unisce alla perfezione l’aura da crooner maledetto di Cowgill con le suggestioni epic-western che Julius è in grado di tessere. Il risultato è un viaggio affascinante che sa mettere insieme country, folk, cantautorato, ossessioni industriali e musica ambient, con spunti che oserei quasi definire pinkfloydiani. (Voto: 7.5)

Nel medesimo anno, il 2022, esce anche quello che pare essere - stando alle dichiarazioni fatte da Cowgill (uno che potrebbe cambiare idea in ogni momento) - il canto del cigno per il progetto King Dude. “Death” conclude una tetralogia di album iniziata con “Love”, “Fear” e “Sex”, ma soprattutto mette la parola “fine” ad un percorso che rischiava di divenire vuoto riciclaggio di idee. Ed infatti, pur non trattandosi di un brutto album, è quello che mi ha entusiasmato meno di tutti, riproponendo ancora una volta la formula dell’alternanza fra post-punk, rock e ballate folk. Non mancano spunti interessanti o guizzi d’autore, ma l'opera dà propria l’impressione che il percorso sua giunto al capolinea. (Voto: 6.5)

Solo il tempo ci dirà se la saga targata King Dude è da considerarsi conclusa o solamente in un temporaneo stand-by. Riteniamo che Cowgill, come autore, abbia ancora molto da dare, ed averlo visto in grande forma all'Incineration Fest ci illude che il suo cammino possa continuare ulteriormente. Ce lo auguriamo con il cuore...  

Playlist essenziale: 
1) "River of Gold" ("Tonight's Special Death", 2010) 
2) "Hello Mary" ("Love", 2011)  
3) "Jesus in the Courtyard" ("Burning Daylight", 2012) 
4) "Fear is All You Know" ("Fear", 2014) 
5) "Deal with the Devil" ("Songs of Flesh & Blood - In the Key of Light", 2015) 
6) "I Wanna Die at 69" ("Sex", 2016) 
7) "I Don't Write Love Songs Anymore" ("Music to Make War to", 2018) 
8) "Forty Five Say Six Six Six " ("Full Virgo Moon", 2020) 
9) "Black Rider on the Storm" ("Black Rider on the Storm", 2022) 
10) "Pray for Nuclear War" ("Death", 2022)