"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

7 gen 2017

CONFRONTI IMPOSSIBILI: GEORGE MICHAEL E ROB HALFORD - CONVERGENZE PARALLELE




Noi siamo ovunque”. Di chi stiamo parlando? Questa frase inquietante compare in un film poco noto e poco trasmesso di William Friedkin (quello de "L’esorcista") con un giovane Al Pacino: "Cruising" (1980). Se lo si prende in alcuni spezzoni potrebbe sembrare un film di metallari dei primi anni 80, gente strizzata in vestiti di pelle e borchie, anche se troppo muscolosi e troppo denudati. Trattasi infatti di un thriller su un serial killer del mondo gay sado-maso, che popola le notti newyorkesi tra locali dedicati e parchi pubblici. L’uniforme di questo mondo era appunto la pelle e le borchie, da sempre associate alla sessualità trasgressiva e promiscua, con una componente di aggressività o comunque di appetito sessuale “nudo e crudo”.

Al Pacino interpreta qui un poliziotto che deve fingersi gay per pizzicare l’assassino, e che alla fine svilupperà un sentimento misto di repulsione e fissazione per questi ambienti, tale da farlo diventare un assassino di gay. Il tutto punta sulla descrizione di un fastidio o di un disagio di tipo psicologico, con scene sessuali che si contano sulla punta delle dita e sono comunque tagliate in alcune edizioni. L’atmosfera è simile a quella di altri film dell’epoca come “Taxi Driver” o “Hardcore”. Il taglio è quello che si direbbe oggi “omofobo”, poiché non si descrivono figure gay consapevoli ed equilibrate, ma solo esempi degenerati, e solo in un ambito di clandestinità che rende il tutto molto torbido. L’unica figura “pulita”, il vicino di casa di Al Pacino, gay tranquillo e discreto, è ucciso alla fine del film. L’assassino è descritto come un gay indotto all’omosessualità violenta da abusi fisici subiti per mano del padre.


Negli stessi anni in cui questa attenzione pruriginosa era dedicata all’omosessualità, in ambito artistico invece gli artisti omosessuali trovavano un’isola felice, dove nessuno si interessava di questo loro aspetto privato. Complice l’AIDS, alcuni personaggi famosi furono poi scoperti o indotti a dichiararsi pubblicamente, mentre altri cominciarono a farlo, per reazione, in nome di una difesa del proprio diritto a non nascondersi. Il paradosso del “coming out” come riappropriazione del proprio orgoglio rimane, a mio avviso, un paradosso. In primo luogo, costringe il pubblico a dare giudizi (anche neutri) su un aspetto non pertinente alla produzione artistica. In secondo luogo, quando invece la produzione artistica si lega alle tematiche socio-culturali, questo aspetto diventa un limite artistico, una forzatura. Come per le canzoni sulla pace, anche quelle sull’intolleranza tendenzialmente fanno venire il latte ai ginocchi, e non aiutano per niente la causa.

Ricordo che in un numero di Metal Shock, nella rubrica umoristica “Kakka metal” uscì una classifica immaginaria che ipotizzava l’omosessualità di alcuni personaggi metal. Non ricordo se fosse incluso Halford, ma già allora si potevano avere degli indizi. A parte che non risultava essere stato fidanzato di Lita Ford, e poi quel look pelle-e-borchie aveva qualcosa di eccessivamente estetico per essere solo una tenuta da guerriero.
Il coming out di Halford avvenne anni dopo, insieme a quello di George Michael, nel 1998. In verità il secondo, più che coming out, fu un’ammissione inevitabile alla stampa dopo un arresto per un reato sessuale minore, diciamo pure irrilevante (roba tipo adescamento in un bagno pubblico). Anche per Rob la cosa ha dei contorni poco chiari: era un periodo di relativa crisi dopo il successone di "Painkiller", era uscito dai Priest e la carriera solista, per quanto avviata (due progetti, i Fight e i Two) era ancora una scommessa. Sarei propenso a credere che il coming out fosse più sintomatico di una situazione di sconforto momentaneo (non una mossa pubblicitaria), anche perché avvenne in forma di amara confessione del disagio patito negli anni del successo coi Priest per la necessità di tenerlo nascosto. A questo punto ad uno dei miei idoli, Rob, direi con tutta sincerità “Rob, ma con rispetto parlando, chi ti caa’” (equivalente di -chi ti considera ? – o in romano, chi te s’encula?“).
Rob argomenta che a causa di questo stress iniziò a fare uso di droghe e alcol, da cui poi si è disintossicato con l’aiuto della fede in Cristo. Questo coming out ha quindi ottenuto come risultato di darmi una disturbante immagine di Rob come “reborn christian”, categoria che ha già prodotto danni su danni nel metal (vedi le conversioni di Mustaine, Blackie Lawless etc). Soprattutto però mai un artista dovrebbe essere giudicato per pietà. Anche perché, se il punto è che non bisogna fare discriminazioni, che senso ha sentirsi in dovere di dichiarare la propria sessualità? Qualcuno non la dichiara ma la illustra nei testi delle canzoni, qualcun altro no, così come la fede politica, che crea controversie di peso forse maggiore.
Dobbiamo forse più rispetto a Rob perché ha dovuto tener nascosta la sua omosessualità al pubblico? Al pubblico non importava, non ci avrebbe fatto niente. Al pubblico non è stato negato niente. Avrebbe affondato la carriera dei Judas? Personalmente, quando appresi da un amico che Rob era gay era un periodo in cui ascoltavo “Turbo”, e pur riflettendo a chiappe strette sul fatto che “I am your turbo lover” era forse ispirato da fantasie omosessuali, dopo qualche secondo ricominciai a canticchiarlo senza problemi.

“Noi siamo ovunque” era una frase profetica, perché anche nel metal gli omosessuali dichiarati poi sono comparsi anche nei generi estremi (che forse sono visti, erroneamente, come zona ipervirile, non tenendo conto che l’iper-virilità è compatibile con l’omosessualità). Se è vero, come ad esempio si sosteneva nel film, che l’omosessualità si associa ad una spinta sessuale aumentata, andrebbe invece riscoperta la componente erotica nei testi dei Priest, ed è quello che ci riproponiamo di fare.
Il coming out comunque porta male, perché è un’ammissione. Chi non si nasconde non ha bisogno di ammettere, e se ammette che si è nascosto è lo stesso mondo gay a processarlo. Si pensi a George Michael, a cui Elton John indirizzò la critica che “avrebbe dovuto uscire allo scoperto prima”. Tra l’altro anche lui sostenne che, parallelamente a questo aspetto nascosto (almeno del suo personaggio), soffriva di depressione che si era curato con farmaci e droghe.
Michael batté una pista artistica di exploitation della lotta per l’uguaglianza (di chiunque a chiunque), che a mio avviso è una china discendente sul piano artistico. Non ti posso ascoltare solo perché sei buono, così come anche se mi compiaccio della cattiveria dei Venom non posso esimermi dal dire che per lo più fanno cacare. Rob ha scampato per adesso questo rischio, e ha rifatto un quasi-Painkiller con "Redeemer of Souls", archiviando il rischio dell’autocommiserazione o insulse posizioni per la difesa dei diritti. La migliore difesa di dei diritti di Rob è stata calcare il palco per anni, soprattutto prima del coming out. A dimostrazione che si può far successo, diventare idoli delle folle maschili da gay, senza dover render conto e senza che gli altri ti chiedano di render conto. E senza beccarti alla fine le critiche di Elton John nascosto sotto la sua ultima parrucca.

Piuttosto, in chiusura parliamo di cose serie. Mi sono chiesto per anni cosa fosse il “Painkiller”. Questo mostro di metallo che cavalca una motocicletta, e trita l’umanità sotto le ruote si chiama col nome che hanno i medicinali antidolorifici. Questi medicinali sono oggetto di abuso, specialmente quelli che contengono sostanze oppiacee. Tornerebbe col fatto che Halford abbia abusato proprio di questi prodotti (ossicodone), per poi disintossicarsi e tornare tra noi. Almeno per il momento, perché ad esempio a George Michael è andata male, parrebbe per una dipendenza da eroina. Le strade che nel 1998 si erano incrociate, qui si dividono. Non per portare sfortuna, ma il miglior modo per andare in overdose è da disintossicati e “convinti” della propria forza di volontà. Ne sa qualcosa ad esempio Phil Anselmo, che voleva guarire tatuandosi “Strength” sul cranio rasato in segno di disciplina e rinascita, e collassò poco dopo nel backstage, per poi tornare rasta coi Superjint Ritual.
Su questo nessuno fa coming out sensati, tutti a sbandierare velleità di auto-guarigione, cercare di giustificarsi da ciò che non risente di giustificazioni e non richiede giustificazioni (la dipendenza), e non dare un suggerimento utile che sia uno agli altri.
Almeno, visto che vuoi parlare dei tuoi problemi sulle droghe che hai celebrato, butta lì l'invito a curarsi. Esser passati dal l'ossicidone di "Painkiller" al salvatore di "Redeemer of souls" è una bell'idea, ma speriamo non finisca male.

Speriamo quindi che Halford, così come per il tema gay, si salvi in corner e non faccia il drogato famoso, e peggio che mai l’ex drogato famoso che è rinato. Curatevi, fate meno interviste sui cazzi vostri privati di cui ci importa fino a un certo punto, e non date retta a Elton John.

A cura del Dottore