“Noi siamo ovunque”. Di chi stiamo parlando? Questa frase inquietante compare in un film poco noto e poco trasmesso di William Friedkin (quello de "L’esorcista") con un giovane Al Pacino: "Cruising" (1980). Se lo si prende in alcuni spezzoni potrebbe sembrare un film di metallari dei primi anni 80, gente strizzata in vestiti di pelle e borchie, anche se troppo muscolosi e troppo denudati. Trattasi infatti di un thriller su un serial killer del mondo gay sado-maso, che popola le notti newyorkesi tra locali dedicati e parchi pubblici. L’uniforme di questo mondo era appunto la pelle e le borchie, da sempre associate alla sessualità trasgressiva e promiscua, con una componente di aggressività o comunque di appetito sessuale “nudo e crudo”.
Al Pacino interpreta qui un poliziotto che deve fingersi gay per pizzicare l’assassino, e che alla fine svilupperà un sentimento misto di repulsione e fissazione per questi ambienti, tale da farlo diventare un assassino di gay. Il tutto punta sulla descrizione di un fastidio o di un disagio di tipo psicologico, con scene sessuali che si contano sulla punta delle dita e sono comunque tagliate in alcune edizioni. L’atmosfera è simile a quella di altri film dell’epoca come “Taxi Driver” o “Hardcore”. Il taglio è quello che si direbbe oggi “omofobo”, poiché non si descrivono figure gay consapevoli ed equilibrate, ma solo esempi degenerati, e solo in un ambito di clandestinità che rende il tutto molto torbido. L’unica figura “pulita”, il vicino di casa di Al Pacino, gay tranquillo e discreto, è ucciso alla fine del film. L’assassino è descritto come un gay indotto all’omosessualità violenta da abusi fisici subiti per mano del padre.
Negli stessi anni in cui questa
attenzione pruriginosa era dedicata all’omosessualità, in ambito artistico
invece gli artisti omosessuali trovavano un’isola felice, dove nessuno si
interessava di questo loro aspetto privato. Complice l’AIDS, alcuni personaggi
famosi furono poi scoperti o indotti a dichiararsi pubblicamente, mentre altri
cominciarono a farlo, per reazione, in nome di una difesa del proprio diritto a
non nascondersi. Il paradosso del “coming
out” come riappropriazione del proprio orgoglio rimane, a mio avviso, un
paradosso. In primo luogo, costringe il pubblico a dare giudizi (anche neutri)
su un aspetto non pertinente alla produzione artistica. In secondo luogo,
quando invece la produzione artistica si lega alle tematiche socio-culturali,
questo aspetto diventa un limite artistico, una forzatura. Come per le canzoni
sulla pace, anche quelle sull’intolleranza tendenzialmente fanno venire il
latte ai ginocchi, e non aiutano per niente la causa.
Ricordo che in un numero di Metal
Shock, nella rubrica umoristica “Kakka metal” uscì una classifica immaginaria che
ipotizzava l’omosessualità di alcuni personaggi metal. Non ricordo se fosse incluso
Halford, ma già allora si potevano avere degli indizi. A parte che non
risultava essere stato fidanzato di Lita Ford, e poi quel look pelle-e-borchie
aveva qualcosa di eccessivamente estetico per essere solo una tenuta da
guerriero.
Il coming out di Halford avvenne anni
dopo, insieme a quello di George Michael, nel 1998. In verità il secondo, più
che coming out, fu un’ammissione inevitabile alla stampa dopo un arresto per un
reato sessuale minore, diciamo pure irrilevante (roba tipo adescamento in un
bagno pubblico). Anche per Rob la cosa ha dei contorni poco chiari: era un
periodo di relativa crisi dopo il successone di "Painkiller", era uscito dai
Priest e la carriera solista, per quanto avviata (due progetti, i Fight e i Two)
era ancora una scommessa. Sarei propenso a credere che il coming out fosse più sintomatico di una situazione di sconforto
momentaneo (non una mossa pubblicitaria), anche perché avvenne in forma di amara
confessione del disagio patito negli anni del successo coi Priest per la
necessità di tenerlo nascosto. A questo punto ad uno dei miei idoli, Rob, direi
con tutta sincerità “Rob, ma con rispetto parlando, chi ti caa’” (equivalente di
-chi ti considera ? – o in romano, chi te s’encula?“).
Rob argomenta che a causa di
questo stress iniziò a fare uso di droghe e alcol, da cui poi si è
disintossicato con l’aiuto della fede in Cristo. Questo coming out ha quindi
ottenuto come risultato di darmi una disturbante immagine di Rob come “reborn
christian”, categoria che ha già prodotto danni su danni nel metal (vedi le
conversioni di Mustaine, Blackie Lawless etc). Soprattutto però mai un artista
dovrebbe essere giudicato per pietà. Anche perché, se il punto è che non
bisogna fare discriminazioni, che senso ha sentirsi in dovere di dichiarare la
propria sessualità? Qualcuno non la dichiara ma la illustra nei testi delle
canzoni, qualcun altro no, così come la
fede politica, che crea controversie di peso forse maggiore.
Dobbiamo forse più rispetto a Rob
perché ha dovuto tener nascosta la sua omosessualità al pubblico? Al pubblico
non importava, non ci avrebbe fatto niente. Al pubblico non è stato negato
niente. Avrebbe affondato la carriera dei Judas? Personalmente, quando appresi
da un amico che Rob era gay era un periodo in cui ascoltavo “Turbo”, e pur
riflettendo a chiappe strette sul fatto che “I am your turbo lover” era forse ispirato
da fantasie omosessuali, dopo qualche secondo ricominciai a canticchiarlo senza
problemi.
“Noi siamo ovunque” era una frase
profetica, perché anche nel metal gli omosessuali dichiarati poi sono comparsi anche
nei generi estremi (che forse sono visti, erroneamente, come zona ipervirile,
non tenendo conto che l’iper-virilità è compatibile con l’omosessualità). Se è
vero, come ad esempio si sosteneva nel film, che l’omosessualità si associa ad
una spinta sessuale aumentata, andrebbe invece riscoperta la componente erotica
nei testi dei Priest, ed è quello che ci riproponiamo di fare.
Il coming out comunque porta
male, perché è un’ammissione. Chi non si nasconde non ha bisogno di ammettere,
e se ammette che si è nascosto è lo stesso mondo gay a processarlo. Si pensi a
George Michael, a cui Elton John indirizzò la critica che “avrebbe dovuto
uscire allo scoperto prima”. Tra l’altro anche lui sostenne che, parallelamente
a questo aspetto nascosto (almeno del suo personaggio), soffriva di depressione
che si era curato con farmaci e droghe.
Michael batté una pista artistica
di exploitation della lotta per l’uguaglianza (di chiunque a chiunque), che a
mio avviso è una china discendente sul piano artistico. Non ti posso ascoltare
solo perché sei buono, così come anche se mi compiaccio della cattiveria dei
Venom non posso esimermi dal dire che per lo più fanno cacare. Rob ha scampato
per adesso questo rischio, e ha rifatto un quasi-Painkiller con "Redeemer of
Souls", archiviando il rischio dell’autocommiserazione o insulse posizioni per
la difesa dei diritti. La migliore difesa di dei diritti di Rob è stata calcare
il palco per anni, soprattutto prima del coming out. A dimostrazione che si può
far successo, diventare idoli delle folle maschili da gay, senza dover render
conto e senza che gli altri ti chiedano di render conto. E senza beccarti alla
fine le critiche di Elton John nascosto sotto la sua ultima parrucca.
Piuttosto, in chiusura parliamo
di cose serie. Mi sono chiesto per anni cosa fosse il “Painkiller”. Questo
mostro di metallo che cavalca una motocicletta, e trita l’umanità sotto le
ruote si chiama col nome che hanno i medicinali antidolorifici. Questi
medicinali sono oggetto di abuso, specialmente quelli che contengono sostanze
oppiacee. Tornerebbe col fatto che Halford abbia abusato proprio di questi
prodotti (ossicodone), per poi disintossicarsi e tornare tra noi. Almeno per il
momento, perché ad esempio a George Michael è andata male, parrebbe per una
dipendenza da eroina. Le strade che nel
1998 si erano incrociate, qui si dividono. Non per portare sfortuna, ma il
miglior modo per andare in overdose è da disintossicati e “convinti” della
propria forza di volontà. Ne sa qualcosa ad esempio Phil Anselmo, che voleva
guarire tatuandosi “Strength” sul cranio rasato in segno di disciplina e
rinascita, e collassò poco dopo nel backstage, per poi tornare rasta coi
Superjint Ritual.
Su questo nessuno fa coming out sensati, tutti a sbandierare velleità di auto-guarigione, cercare di giustificarsi da ciò che non risente di giustificazioni e non richiede giustificazioni (la dipendenza), e non dare un suggerimento utile che sia uno agli altri.
Almeno, visto che vuoi parlare dei tuoi problemi sulle droghe che hai celebrato, butta lì l'invito a curarsi. Esser passati dal l'ossicidone di "Painkiller" al salvatore di "Redeemer of souls" è una bell'idea, ma speriamo non finisca male.
Almeno, visto che vuoi parlare dei tuoi problemi sulle droghe che hai celebrato, butta lì l'invito a curarsi. Esser passati dal l'ossicidone di "Painkiller" al salvatore di "Redeemer of souls" è una bell'idea, ma speriamo non finisca male.
Speriamo quindi che Halford, così
come per il tema gay, si salvi in corner e non faccia il drogato famoso, e
peggio che mai l’ex drogato famoso che è rinato. Curatevi, fate meno interviste
sui cazzi vostri privati di cui ci importa fino a un certo punto, e non date
retta a Elton John.
A cura del Dottore