“Un indizio è un indizio. Due
indizi sono una coincidenza. Ma tre indizi fanno una prova”.
Uno degli aforismi più
famosi della celebre scrittrice britannica Agatha Christie. Detto da un’esperta "giallista" come lei,
possiamo crederci davvero che tre indizi fanno una prova.
E allora figuriamoci cinque, di
indizi. Cinque come le porcherie che ci hanno rifilato i Metallica da “Load” in
poi (senza contare il Black Album che, se proprio vogliamo, dei veri colpi di classe li
riservava ancora; e che tutto sommato possiamo, anche a posteriori e dopo 25
anni dalla sua uscita, definire “più che sufficiente”).
Si, è appena iniziato il 2017,
non siamo ancora arrivati alla Befana, e parliamo già di Metallica. Del resto,
è ancora troppo fresco lo schifo procuratoci da “Hardwired…” (chissà se Cliff riuscirebbe a giustificare, ed apprezzare, pure questo...).
Così, nell’amarezza interiore di
vedere i nostri idoli di un tempo non riuscire ad invecchiare con dignità
artistica, cerchiamo di trovare una spiegazione razionale alla cosa,
chiedendoci: è possibile storicamente individuare un punto preciso, un momento
nel quale i Metallica hanno perso la bussola e hanno cominciato a scrivere la
prima robaccia che sarebbe andata a finire su “Load” e “Reload”? Cioè il vero
inizio della loro fine?
Lo spunto per questa riflessione
mi arriva in realtà da un fatto di cronaca: domenica 29 maggio 2016, ad Oakland
(California) c’è stato un concerto dei Corrosion Of Conformity. A un certo
punto, sul palco, è salito assieme a Pepper Keenan e soci James Hetfield, per cantare
e suonare “Seven Days”, grandissimo brano tratto da “Deliverance”. Il fatto di per sé non dice
granchè: l’amicizia, la collaborazione e il reciproco rispetto tra Hetfield e
Keenan sono cose note. Ma c’è anche un altro elemento: Hetfield dichiarò non
poco tempo fa che il ritorno nel 2015 nei C.O.C. di Pepper (dopo la lunga e
fortunata parentesi con i Down) è stata “una delle dieci cose migliori capitate
in ambito musicale nell’intero 2015”. Una frase magari buttata lì, ma che
denota una stima del gigante di Downey non da poco per il chitarrista del Mississipi.
Due indizi, quindi. Che non fanno
una prova, lo so, ma solo una coincidenza. Però…
Recentemente ho riascoltato
“Blind” (1991) dei COC. “Blind” è uscito pochi mesi dopo “Metallica”, a fine
1991. Ed è indubbiamente debitore del thrash degli ex Four Horsemen. Si, i COC
devono tanto ai Metallica e in “Blind” lo dimostrano, tributandoli. Senza
plagio, senza pedissequa scopiazzatura. Ma in certi riff, in certi passaggi, il
metal codificato in “Ride the lightining” è avvertibile,
eccome (vedasi la sensazionale “Damned for all time”).
“Blind” è un album strano,
difficile: trascurabile e fondamentale al contempo. Di passaggio ma pietra
miliare. Acerbo e già maturo, compatto. Pesante come un macigno ma molto
orecchiabile, ed a tratti (ma solo a tratti!) catchy. Ondivago e straniante in
certi passaggi (su tutti, il mood orientaleggiante di “Mine are the eyes of god”)
ma nel complesso molto omogeneo e senza brani flop (paradossalmente l’unica
traccia che non riesce a catturarmi è proprio il primo singolo “Vote with a
bullet”). E rappresenta il miglior trait d’union possibile tra il passato
hard-core della band (soprattutto nell’approccio in your face e per i testi
politicamente molto impegnati) e il loro mirabolante, e sottostimato, futuro di
derivazione sabbathiana.
“Blind” è un disco unico anche
per gli stessi Corrosion, che solo lì ebbero a disposizione alla voce Karl Agell (dal
successivo “Deliverance” sarà lo stesso Pepper a mettersi dietro al microfono
con grandi risultati) e al basso Phil Swisher. E che già faceva rifulgere in
pieno l’allora 24enne Pepper come un grandissima macchina genera-riff.
Ed è proprio da questi riff
schiacciasassi creati da Keenan che nella mente mi balena questo pensiero: che l’inizio
della fine artistica di Hetfield &co. sia nata dall’ascolto di “Blind” e
dei riff in esso contenuti? Che sia il disco-svolta per la strada che i
Metallica, ahinoi, avrebbero intrapreso in fase di scrittura e che avrebbe
generato i “mostri” siamesi Load-Reload?
Il dubbio mi prende, si fa
strada. E mi convinco sempre più. Questo perché “Blind” incorpora tutte quelle
caratteristiche che i Metallica cercheranno di scimmiottare in futuro. Dalla
predilezione per i mid-tempos, alle strutture pachidermiche ma dinamiche al
contempo; dall’utilizzo di stilemi oscuramente rustici ad un metal heavy e dal
forte groove. Un “groove” diverso da quello estremo e iper-compresso dei
Pantera, ma inteso nella sua accezione letterale: quella di riff che “solcano”,
che creano un incavo (sonoro, ovviamente!) su cui far scorrere la vena sporca,
grassa e calda della musica southern. Un sound che si sarebbe poi definito come
sludge metal, ma che nel 1991 si chiamava più generalmente crossover.
Ma per creare musica di qualità con
queste caratteristiche serve ispirazione, qualità di scrittura, convinzione in
ciò che si sta componendo. Tutto ciò che insomma, ad un
orecchio scafato, è avvertibile in modo chiaro all’interno di “Blind” e che non
troveremo mai nelle produzioni dei Metallica. Nonostante questo, mentre i COC andranno incontro
a un futuro di medio successo (rispetto soprattutto alle altre band “crossover”
come Suicidal Tendencies, Biohazard e Faith No More) sfornando album enormi, i
Metallica continueranno a percorrere una strada pavimentata di dollari e fama,
sfornando merda.
I casi della vita…intanto io
faccio prendere polvere a quell’aborto gemellare di Load-Reload mentre mi
vado a riascoltare periodicamente “Blind”, disco debitore dei capolavori del
passato dei Metallica. E, ne sono convinto, loro influenza futura post-1991.
Una convinzione, mi rendo conto, che non ho potuto sostenere nel corso del post adducendo prove inconfutabili.
Ma stavolta mi faccio bastare gli indizi...con buona pace della Christie!
A cura di Morningrise