"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

23 apr 2016

RECENSIONE - AVANTASIA: "GHOSTLIGHTS"


Io a Tobias Sammet voglio bene. Da tempo. Sarà perché è mio coetaneo, sarà perchè lo seguo da quando era(vamo) poco più che ventenne(i), cioè dagli Edguy di “Vain Glory Opera” (1998). Li andai a vedere apposta dal vivo a Bologna, di supporto ai Gamma Ray, nel 1999. Era appena uscito il capolavoro della band di Fulda, “Theatre of Salvation”, e rimasi impressionato dalla tenuta sul palco di quei giovani ragazzi, dalla padronanza dei mezzi che esprimevano dal vivo, dalla loro caratura tecnica (in particolare da Jens Ludwig alla chitarra) e dagli acuti di Tobias. Ma soprattutto sembravano davvero divertirsi un mondo: freschi, brillanti, ispirati.

A cura di Morningrise

Non credo sia un caso che risalga proprio alla fine di quel ’99 la scrittura dei primi pezzi per il progetto Avantasia. Evidentemente quegli anni furono particolarmente fecondi per Sammet da un punto di vista compositivo perché il già citato TOS degli Edguy e la prima release del mega-progetto Avantasia, “The Metal Opera I&II” (2000-01), per chi scrive, rappresentano il meglio, in un arco ormai ventennale, dell’arte sammetiana.

L'intento del "progetto Avantasia" era dichiarato: realizzare un’opera-metal in cui i diversi artisti coinvolti, come accade nell’Opera propriamente detta, avessero ognuno un ruolo, accomunati ovviamente da un plot unitario. 
Come detto, un progetto ambizioso, forse un po’ “sborone” ma in cui Tobias sicuramente credeva. E il risultato, di critica e di pubblico, lo premiò da subito in modo meritato.

E probabilmente, sta qua il problema. Nel 2001 Sammet aveva 24 anni. Cosa bisogna fare a 24 anni quando si è già fatto il “botto”? Dopo aver detto già così tanto in ambito symphonic/power metal e aver già realizzato il tuo “sogno”? Quando ti viene già riconosciuto lo status di leader di un genere intero?
Domanda ineludibile. Ma che, a quell’età e stando sulla cresta dell’onda, poteva avere una sola risposta: scrivere ancora. Continuare su quella strada.

Ora, non è questo il luogo per una rivisitazione della discografia degli Avantasia (qualcuno nella redazione di Metal Mirror ci sta già lavorando…). Basterà dire che, personalmente, ho trovato tutte le uscite successive a "The Metal Opera" piacevoli, molto gradevoli, seppur in lieve ma progressivo declino. Le ho comunque consumate, traendone goduria per le mie orecchie, particolarmente sensibili a questo tipo di sonorità.

Ed è qui che mi devo scindere. Devo distinguere tra il fan e l’analista obiettivo e coscienzioso. Devo cercare di mettere da parte quella parte di me che porterebbe a scrivere: “basta che Tobias azzecchi quattro-cinque ritornelli in tutto il disco che io sono contento”. Perchè un disco degli Avantasia lo ascolterò sempre volentieri e, a meno di schifezze immonde difficilmente ipotizzabili, me ne sentirò appagato. Devo lasciare invece spazio alla parte più obiettiva e analitica.

Ci provo: la nuova fatica dei tedeschi compare immediatamente nella mia discografia dopo la sua uscita a fine gennaio. Del resto, la precedente release, “The Mystery Of Time” (2013) la considero la migliore prova dei Nostri proprio dai tempi di “The Metal Opera I&II”.
Come si suol dire, “squadra che vince non si cambia” e stilisticamente Sammet, pur cambiando qualche interprete tra i numerosi ospiti come al solito chiamati a raccolta (fuori Joe Lynn Turner e Byff Byford e dentro Sharon den Adel, Marco Hietala, Geoff Tate e Dee Snider), non cambia registro. Facendosi accompagnare dagli stessi musicisti (Sascha Paeth alla sei corde in primis), le sonorità che scaturiscono sono le stesse di TMOT: un hard rock (per lo più) / power metal (per lo meno) elegante, arioso e trascinante, che ha nell’esplosione dei chorus il suo climax. Anche la disposizione in scaletta dei pezzi ricalca quella del disco precedente, scelta comprensibile se consideriamo che questa è la seconda e ultima parte del concept cominciato tre anni fa.

Ma il "succo", l’elemento o gli elementi che faranno ricordare negli anni l’album, quello che ci attendiamo da un monicker così importante…c’è o non c’è?? Ecco, il problema è che ce n’è troppo poco. Diciamo che dei 70 minuti che compongono l’album salverei giusto la prima metà, i primi 35’. In questa prima mezz’ora abbondante vengono racchiusi i cinque pezzi più validi dell’intero. Dove troviamo un po’ tutto quello che ci aspetteremmo da un disco degli Avantasia: un opener, in questo caso anche singolo, che attacca convinta e trascinante, con un chorus che ti si stampa subito in testa non lasciandoti scampo (“Mystery of a Blood Red Rose”); poi il brano lungo, vario ed articolato, 12 minuti in cui i Nostri condensano tutte le loro caratteristiche (“Let the Storm Descends Upon You”); proseguendo abbiamo le piccole, ma significative, variazioni sul tema (“The Haunting”) dove si prova anche un pò a sperimentare qualche nuova soluzione (la contorta e oscura “Seduction of Decay”, con un Tate alla voce che rende il brano, probabilmente il migliore del lotto, molto piacevolmente queensrychiano); e infine il pezzo tirato, quello canonicamente power metal a-là-tedesca, cioè la titletrack, tutto sommato prevedibile ma piacevole e che rivela un Michael Kiske in gran forma.

Il problema sono i restanti 35’: un alternarsi, a tratti stucchevole, sicuramente prevedibile, da un lato di brani più meditativi e soffusi (la gotica e plasticosa “Draconian Love”, che mi ricorda gli H.I.M. più ruffiani; la ballata dark “Isle of Evermore” che sembra un copia-incolla dei Within Temptation, e non solo per la presenza alla voce della den Adel; o “Lucifer”, che parte come una piano ballad per poi virare a metà in un canonico mid-tempo heavy e dove neppure la presenza di un appassionato Jorn Lande riesce a tirare su le sorti di una song dalla qualità “solo” sufficiente); e dall’altro di pezzi power symphonic molto canonici, senza infamia e senza lode (“Master of the Pendulum”, “Babylon Vampires”, “Unchain the Light”).

Trapela prepotente quindi la sensazione del “compitino”, della poca ispirazione. L’ha scritto mirabilmente il nostro Lost In Moments recentemente: la differenza tra l’ottimo e il mediocre, in un genere così inflazionato come il symphonic/power, sta nel trovare le linee melodiche ispirate, quelle che ti fanno vibrare le corde dell’animo, e nel combinare nei modi e tempi giusti i soliti ingredienti. Forse i “modi” e “i tempi” Tobias li trova pure, ma il tutto sa di “già sentito”, di banalotto. Forse più attento a cucire la song ad hoc per la voce dell’ospite di turno, piuttosto che ricercare lo scatto di reni vincente.

Emblematico di tutto questo è proprio il brano di chiusura dell’album: la track finale è sempre decisiva per indicare lo stato di salute di un “super-gruppo” sinfonico come gli Avantasia, e se TMOT si chiudeva con i monumentali, e commoventi, 10 minuti di “The Great Mystery”, con un Bob Catley sugli scudi, anche “Ghostlights” si affida all’ugola del quasi settantenne singer dei Magnum. Il problema è che “A Restless Heart and Obsidian Skies” è nei suoi 6 minuti un brano piatto come una sogliola, senza acuti, di una teatralità che pare artefatta, senza, appunto, quell’ispirazione nelle melodie che si era sempre evidenziata in passato nei brani-chiave dei diversi album. Una canzone quindi sì importante, ma in senso negativo… che, per il sottoscritto, sa molto di momentanea resa. Almeno da un punto di vista della qualità del songwriting. 

In definitiva, trovo "Ghostlights", seppur più che sufficiente, il punto più basso toccato dal progetto Avantasia.
Se poi, come al sottoscritto, vi basta ascoltare “quattro-cinque” ritornelli coinvolgenti, arrangiamenti sinfonici scolastici ma col “tiro” giusto, allora non rimarrete delusi.

Ma, questo è certo, da Tobias io mi aspetto di meglio, sicuramente di più. Non ha ancora 40anni…non può invecchiare per altri 20 limitandosi a sfornare album in serie di tal fatta (ma che belle però le copertine!!), rimescolando le carte di un passato vincente…o forse si?
Del resto a leggere tutte, ma proprio tutte, le recensioni sui siti specializzati, “Ghostlights” è reputato un ottimo disco, con voti che vanno dal "7" in su! E’ pure entrato in classifica su Billboard…e allora, mi ci metto proprio io, loro fedele estimatore, a fargli le pulci?? Non sia mai…

Voto: 6,5

Canzone top: “Seduction of Decay”

Momento top: lo stop&go al minuto 3' 35" di “The Haunting”

Canzone flop: “Unchain the Light”

Anno: 2016

Dati: 12 canzoni, 70 min.

Etichetta: Nuclear Blast