"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

29 apr 2016

XXV ANNIVERSARIO DEL DEATH - CARCASS: "NECROTICISM - Descanting the Insalubrious"


CLASSIFICA DEI 10 MIGLIORI ALBUM DEATH METAL USCITI NEL 1991

3° CLASSIFICATO: "NECROTICISM - Descanting the Insalubrious" (CARCASS)


42; 38; 46; 39; 36; 43; 37; 32; 39.

E 48.

No, non sto dando i numeri. Le cifre elencate nella prima riga si riferiscono ai minuti di durata di tutti gli album che, fino ad ora, hanno fatto parte della nostra Rassegna sul venticinquennale del Death.

Mentre 48 sono i minuti dell’album dei Carcass in oggetto.

A cura di Morningrise

Come possiamo notare, “Necroticism” (e, vi posso anticipare, anche rispetto ai dischi che occuperanno le prime due posizioni della nostra classifica), si presenta con questa caratteristica: avere circa il 25% in più di total running time rispetto ai coevi platter esaminati.

Quasi 50 minuti quindi rispetto a una media di 39 (e meno male che c’è stato di mezzo "War Master" dei Bolt Thrower coi suoi 46 primi sennò la media sarebbe stata ancora più bassa!)

Mi si potrebbe giustamente chiedere: e con ciò??? Cosa si vuole dire/dimostrare con questo dato?

Beh, a parere del sottoscritto parlare di circa un quarto della durata in più (il 23%, per la precisione!) di un album di death metal rispetto ai più importanti full lenght dello stesso genere e periodo, non è banale. E questo per una delle caratteristiche intrinseche del Death stesso, cioè quella che il nostro Memento Mori, nella sua splendida Anteprima, ha descritto con queste illuminanti parole: “un genere serio, rigoroso, proprio perché non ha molte possibilità di espressione […] con margini di movimento veramente angusti”.

E vediamo allora come Walker&co. si mossero in questi margini angusti e come “utilizzarono” questo spazio “in più”.

Innanzitutto, va sottolineato come l’opera fu la prima per la band inglese a presentare una line-up con 4 elementi, invece dei tre delle prime due release. Abbandonati gli eccessi propriamente grind di “Reek of Putrefaction” (1988), i Carcass andarono a completare in modo mirabile l’evoluzione che già si era vista con “Symphonies of Sickness” (1989) dove le brutalità grind avevano già lasciato spazio agli stilemi più propriamente death. E il risultato fu sorprendente: cioè questo disco abnorme, cui contribuì, sia da un punto di vista compositivo che tecnico, il funambolico Michael Amott, new entry "aggiuntiva" appunto per la band di Liverpool.

Fatte queste dovute premesse, partirei con questa traduzione/citazione:

Un cadavere è trasportato in una camera mortuaria. Ogni vittima di una morte improvvisa o inaspettata viene portata qui per l’autopsia, svolta da un patologo; il suo lavoro è di stabilire la causa del decesso. 
Ma a volte il corpo è irriconoscibile. E’ fondamentale perciò, specialmente se c’è il sospetto di un omicidio, stabilirne l’identità…

Ora ditemi voi quale altro gruppo, se non i Carcass, potevano usare questo incipit parlato per un album musicale! Da come si può evincere già da questa bizzarra trovata, nonchè dal geniale titolo del platter, i Nostri vogliono intrattenerci disquisendo sul malsano/l’insalubre (cosa buffa: il termine inglese per “necrosi” è “necrosis”. Mentre qui abbiamo il suffisso –ism, quasi a indicarci una vera e propria “filosofia di vita”). E quindi sono l’anatomia e la patologia medica i temi che rimangono al centro dell’ironico mondo carcassiano. Rispetto al passato però vengono messe leggermente da parte gli aspetti più propriamente gore di questo universo per metterne invece in evidenza quelli più grotteschi, gli elementi ridicolmente macabri della morte, dei cadaveri e dei processi di decomposizione. Un approccio già evidenziato dai titoli (e dai testi malati, tutti opera di Jeff Walker) delle otto tracks, alcuni dei quali davvero esilaranti. Su tutti si erge “Lavaging Expectorate of Lysergide Composition” che non oso neppure tradurre…

Metal Mirror aveva già approfonditamente trattato il c.d. “metal autoptico”, parlando ad esempio dei Vulvectomy, e non sarei in grado di dire di più e di meglio del nostro grande Dottore che, già prima della Classifica sui gruppi più repellenti del Metal, seppe trattare splendidamente l’argomento della necromania in relazione al Death Metal.

Per questo preferisco spostarmi sul versante musicale, dove però risulta assolutamente impossibile far emergere un brano rispetto a un altro: ognuno è una sorta di lovecraftiana architettura metallica, in cui i pilastri e i muri portanti che le sorreggono sono gli abnormi riff spaccaossa generati da Amott e Bill Steer, taglienti e precisi come un bisturi (termine che uso non a caso…), mentre la struttura “interna” e i dettagli di contorno sono dati dagli incroci di chitarra vorticosi e dagli incredibili arrangiamenti sfoggiati da tutti e quattro i membri della band, autori di una prova tecnica mostruosa; arrangiamenti solcati dalla voce abrasiva ma molto espressiva di Walker (l’opener “Inpropagation”, con i suoi oltre 7 minuti, può essere presa ad esempio di quanto detto).

Ma è in ogni traccia che si miscelano sapientemente furia cieca, sprazzi di melodia negli assoli e ritmi complessi, molto vari e comunque sempre ricercati. La potenza espressa è devastante, ma al contempo calibrata, dosata in ogni passaggio, strutturata in modo scientificamente maniacale. Si riesce con scioltezza a passare da mid-tempos dal sapore classico a sfuriate death/grind da stendere al tappeto un dinosauro (vedasi ad esempio “Carneous Cacoffiny”).

A tratti i Carcass riescono persino a rendere molto fruibile un sottogenere che è probabilmente il meno accessibile di tutto il mondo Metal. Esemplificativa la meravigliosa “Corporal Jigsore Quandary”, il cui riff iniziale è quasi “ballabile” (almeno per me che non posso fare a meno di dimenare le chiappe ogni qualvolta la ascolti!), così come quello d’apertura della già citata “Lavaging…”; mentre massicce dosi di melodia le ritroveremo sparse costantemente qua e là (basti pensare all’inizio strumentale di “Pedigree Butchery”, dove è presente addirittura un accenno di chitarra non distorta; o ancora ai solos e alle partiture di raccordo usate in “Incarnated Solvent Abuse”).

Sono risultati, evidentemente, non da tutti. Inventiva e capacità tecniche stavano alla base della riuscita di un’operazione del genere. E l'originalità dei Carcass consiste, a mio modo di vedere, nel risultare “classici”, aderenti ai canoni del genere, ma al contempo riuscire ad ampliare quei canoni, a dargli nuove soluzioni, in questo caso in chiave technical
Dimostrando che allargare quei confini (ed ecco spiegati il minutaggio più esteso rispetto alla media!), dargli un respiro più ampio, era possibile.

Quelle nuove forme di espressione di cui il Death aveva bisogno come il pane già in quel fatidico 1991, trovarono quindi la loro estrinsecazione con questa band straordinaria, in questo album, imprescindibile per la ricostruzione della Storia del Metallo tutto.

Un podio in definitiva ampiamente meritato!