"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

22 mag 2016

CLASSIFICA DEI MIGLIORI DIECI ALBUM DEATH METAL USCITI NEL 1991: CONCLUSIONI

 


1991 – 2016: VENTICINQUE ANNI DI MORTE.
I MIGLIORI DIECI ALBUM DEATH METAL USCITI NEL 1991: CONCLUSIONI

A differenza delle altre classifiche che abbiamo stilato per il nostro blog, la qui presente, giunta oggi alla sua conclusione, è inevitabilmente parziale, considerato il fatto che si è concentrata su un lasso temporale limitato, ossia l’anno 1991.

Più che una panoramica che nasce con pretese di esaustività, e al di là degli intenti meramente celebrativi (visto che cade il venticinquennale di quell’anno così speciale per il metal in generale e per il death metal in particolare), la nostra operazione è stata piuttosto un prelievo: il prelievo di un campione volto non solo a dare uno spaccato reale dell’universo death metal, ma anche atto a descrivere il tutto a partire da una parte.


Cosa è stato quindi sezionato ed isolato? Se non tutto, molto. Basta vedere i nomi dei primi cinque classificati (Death, Morbid Angel, Carcass, Pestilence, Atheist): chi sostiene che il death metal è un genere seriale, ingessato ed ingolfato nei suoi standard, si dovrà ricredere innanzi a queste enormi individualità!

Individualità: un termine che non circola spesso in ambienti come quello del death metal, un ecosistema che, se frequentato da chi non è proprio addetto ai lavori, può apparire incredibilmente uniforme e massificato (nel senso che la collettività diviene massa indistinta). L’immagine del death metal che ci restituisce la nostra lente di ingrandimento è invece l’esatto opposto: artisti dotati di una personalità fortissima, capaci, quanto a carisma e creatività, di rivaleggiare con esponenti illustri di altri ambiti del metal considerati più nobili.

Chuck Schuldiner, Trey Azagthoth e Bill Steer sono artisti che non hanno niente da invidiare ad altri geni del metallo. In queste tre menti c’è tutto: visione, creazione, sviluppo di uno stile che è tanto personale quanto estendibile come standard. Gara a parte la corre ovviamente Schuldiner: creatore prima, sviluppatore in seguito ed infine cantautore, ossia interprete di una musica sua, solo sua, inclassificabile, fuori dai generi, che solo per convenzione continueremo a chiamare death metal. “Individual Thought Patterns” (1993) sarà infatti l’ultimo album veramente death dei Death, in quanto da “Symbolic” in poi il loro (suo) cammino si spingerà oltre: un andare-avanti-ed-indietro-al-tempo-stesso che significa affinare la propria arte in un’ottica sempre più personale, ma anche riappropriarsi di quegli stilemi classici da cui tutto ebbe origine e da cui si prese le distanze per edificare il Nuovo. Quegli stilemi che riconquisteranno l’etichetta “heavy metal” con l’ultimo parto discografico di Schuldiner: “The Fragile Art of Existence” rilasciato da quei Control Denied che non erano altro che i Death che oramai non suonavano più death.

E questo percorso di affrancamento dai canoni del death metal ebbe una prima forte evidenza proprio in “Human”, che abbiamo posizionato al primo posto della nostra classifica. Questa opera meravigliosa era tuttavia solo la punta di diamante di un intero movimento che, a velocità diverse, nell’anno 1991 stava mostrando il suo potenziale. Da lì a poco i Pestilence e gli Atheist (rispettivamente quarto e quinto posto) e i Cynic (non trattati direttamente, ma citati parlando proprio di “Human”, visto che in esso vi suonavano i due pilastri fondanti dei Cynic stessi, Masvidal e Reinert) si sarebbero spostati verso lidi sperimentali, varcando quel famoso punto di non-ritorno che il genere intero imboccherà a breve.

Dei Death si è detto (e non sarà morte artistica la loro, bensì una fine prematura determinata dalla scomparsa del loro leader). Quanto ai Carcass, essi avranno appena il tempo per confezionare il loro capolavoro assoluto “Heartwork” (sempre del 1993), per poi (dopo il trascurabile esperimento “Swansong”) andare incontro all’inevitabile scioglimento. Il medesimo destino che toccò a molte altre band che manifestavano un’evidente irrequietudine nel muoversi all’interno dell’angusto recinto del death metal. Salvo i Morbid Angel, che fra alti e bassi dimostreranno una certa longevità ed una capacità di evolversi pur rimanendo aderenti ai loro cliché, chi deciderà di continuare a suonare death, finirà per riciclarsi o impantanarsi in un’immobilità artistica fatta di attitudine, disciplina e piccoli passi avanti o laterali, relegando l’intero movimento allo status di nicchia per appassionati.

Come si diceva infatti nell’introduzione, chi suona death metal è spesso un musicista serio, rigoroso, consapevole dei propri mezzi e dei propri intenti. Ma questo può costituire anche uno svantaggio: quello di seguire diligentemente certe traiettorie e giocare solamente sulle sfumature. Basta guardare la seconda parte della classifica (Entombed, Cannibal Corpse, Gorguts, Bolt Thrower, Autopsy) e i due inserti fuori concorso (Immolation e Suffocation): tolti Entombed e Gorguts (che possono vantare una differenziazione stilistica sopra la media, i primi dandosi al “death ‘n’roll”, i secondi imboccando la via della sperimentazione), l’impressione è che la maggior parte di essi siano musicisti dotati che si “accontentano” semplicemente di suonare death metal, come se fosse un loro dovere: chi buttandosi sullo splatter, chi sui temi bellici, chi su un anticristianesimo sui generis, sviluppando tutti loro una personalità che ovviamente esiste, ma che per davvero rimane riconoscibile solo a chi il genere lo mastica. Una personalità, invero, che non è una vera “personalità artistica”, in quanto è solo l’inevitabile bagaglio (esperienziale, culturale) che qualsiasi musicista si porta dietro nella propria musica.

Se dunque nel 1991 l’universo death ribolliva di un fermento che lo rendeva una delle correnti più eccitanti del metal, già due anni dopo, nel 1993 vedeva raggiungere il suo zenit per poi spengersi come una supernova che ha esauriti dal profondo la sua energia vitale: il death metal continuerà così a rilucere nel firmamento del metal, ma si tratterà solo di un riflesso dietro il quale si celerà solo materia morta.

Si era detto, infine, che la nostra rassegna, nel suo limitarsi alla durata di un anno solare, ha saputo raccontare molto del death metal, ma non tutto. Nel 1991 non escono infatti album di Deicide e Obituary, di cui non abbiamo parlato, ma che ci pareva giusto citare almeno a piè di pagina.

I primi debuttavano l’anno precedente con “Deicide” (1990) e due anni dopo rilasciavano l’ottimo “Legion” (1992): con i Morbid Angel guideranno le frange più malefiche del death metal, essi stessi incarnando la quintessenza del death  metal più satanico e blasfemo. Nati come una sorta di missione da parte del cantante/bassista Glenn Benton per la diffusione del credo satanico, essi si caratterizzeranno principalmente per il carisma vocale di questo straordinario cantante e paroliere: diviso fra growl ottenebrante e screaming isterico, con la sua “doppia voce”, con le mitragliate epilettiche e con le maledizioni rivolte a Dio, egli riuscirà a costruire un percorso di differenziazione stilistica tanto affascinante da travalicare i confini del death metal per divenire oggetto di interesse anche per il nascente fenomeno del black metal.

Gli Obituary, che debuttavano nel 1989 con “Slowly We Rot”, girarono intorno al 1991 come squali famelici, sfornando a distanza ravvicinata i due loro album migliori: “Cause of Death” (1990) e “The End Complete” (1992). Dal sound tanto classico quanto originale, il gruppo dei fratelli Tardy costituisce un caso a parte nella vasta compagine del death: nessuno suonerà come loro, annoverando essi fra le loro influenze non solo i soliti Slayer, ma anche i grandissimi Celtic Frost. E propri dagli svizzeri essi erediteranno una certa cupezza e gli umori apocalittici: una musica, la loro, perennemente sospesa fra passaggi lenti e claustrofobici ed accelerazioni storcicollo, il tutto condito dalle vocalità inconfondibilmente putrefatte di John Tardy.     

Se i primi riusciranno ad arrivare ai nostri giorni all’insegna della coerenza (ma sbiadendo passo passo), i secondi tenteranno con il quarto album, il buon “World Demise” (1994), una svolta à la Sepultura (ossia un sound più diretto e declamatorio pervaso da echi ambientalisti), per poi sciogliersi anche loro e riformarsi nel 2007, tornando però all’ovile con un approccio più ortodosso e debitore delle loro origini. Entrambi i casi confermano la nostra tesi, ossia che, da un certo punto in poi, il death o rimane uguale a se stesso o si auto-distrugge: questo, nei fatti, il destino che ha accomunato la stragrande maggioranza delle band death metal, salvo ovviamente quelle sporadiche eccezioni che ci sono sempre e che vanno comunque a confermare la regola.

Buon death a tutti!