"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

14 mag 2016

LE PIU' BELLE COVER NEL METAL (appendice)

 


Ok, lo sappiamo, siamo degli inguaribili logorroici e quello che doveva essere un argomento che avrebbe dovuto esaurirsi nello spazio di un post è divenuto una piccola saga divisa in tre puntate. Il tema delle cover nel metal: ossia come il metal si approccia alla rivisitazione del brano altrui. Nella premessa abbiamo abbozzato la questione delle band metal che coverizzano altre band metal, ma è con il passo successivo che abbiamo adempiuto al dovere che ci eravamo prefissati: vedere come le band metal si cimentano nella rivisitazione di brani non-metal.

Il fatto è che, giunti al termine delle nostre argomentazioni, ci siamo chiesti: possibile che non abbiamo manco citato i Rolling Stones? E come abbiamo potuto non accennare alle svariate e bellissime cover che hanno sfornato nella loro carriera i Death SS? E possibile infine che non si sia potuto nemmeno sfiorare l’immagine di un Joey DeMayo impettito in posa da gallo cedrone che violenta con il suo basso a dodici corde le arie dei compositori classici? No, c’era troppa carne al fuoco per tirare giù la saracinesca e salutare tutti. E così eccoci agli immancabili titoli di coda!

Partiamo togliendoci un dente con un brano che inizialmente avevamo pensato di inserire in top ten, ma che alla fine ci è toccato scartare: Surfin’ Bird” rifatta nientemeno che dai Sodom. Di cosa stiamo parlando? “Surfin’ Bird” è un singolo pubblicato nel 1963 dai Trashmen, un nome che vi dirà poco. Il brano, tuttavia, è di per sé stranoto, e lo è per svariati motivi: uno su tutti perché faceva parte della colonna sonora del celebre “Full Metal Jacket” di Stanley Kubrick. A risentire il pezzo con attenzione (capita spesso di sentirlo anche nei dj set di molti locali generalisti, ma spesso quando capita siamo già ubriachi) si capisce che non è solo un irresistibile brano rock’n’roll (impossibile non muover il culo mentre lo si ascolta), ma che è anche molto violento, considerato che siamo all’inizio degli anni sessanta. Batteria battente, riff incalzante, ma soprattutto la folle prova dietro al microfono di Dan Winslow, sorta di Elvis sfasato dalla voce gutturale. Wikipedia, oltre alle etichette rock ‘n’ roll, garage-rock e surf rock, inserisce non a caso anche la dicitura proto-punk ed è tutto dire. In questa rivisitazione i Sodom hanno pertanto vita facile, considerato il loro sound grezzo e punkeggiante. I suoni vengono ovviamente induriti e i Nostri fanno presto a trasformare l’hit della band americana in una  speed-thrash song con i contro-fiocchi: ma non è il lato stilistico ad interessarci, bensì quello concettuale. “M-16” (anno 2001) è uno degli album più cupi e meno giocosi dei Sodom. I testi dei brani ruotano intorno al concept della guerra in Vietnam e “Surfin' Bird”, che veniva trasmessa dalla radio per tenere alto il morale delle truppe proprio in Vietnam, è dunque la chiosa ideale per l'album: coerente con umori ed ambientazioni, essa è una botta di vita che ci ricorda i Sodom più goliardici e divertenti.

Rimanendo in tema Sodom, da segnalare lo spassoso “Ich Glaub’ Nicht An Den Weihnachtsmann” rilasciato dal solo Angelripper sotto la ragione sociale Onkel Tom. Si tratta di una gustosa raccolta di cover di canzoncine natalizie rilette in chiave thrash-metal, con in prima fila l’ugola al vetriolo del leader dei Sodom: un’operazione pienamente riuscita che mette in mostra il lato più divertente dell’autore tedesco (e sempre in argomento di puttanate, come non citare  la cover grind di “Macarena”, ribattezzata per l’occasione “Marijuana”, rilasciata da quei pazzi dei Brujeria?).

Dalla Germania dei Sodom, al Messico dei Brujeria, per tornare alla Germania dei Blind Guardian, i quali tributano i Queen, con “Spread Your Wings”. Sotto le grinfie dei quattro bardi, essa diventa una power-ballad assai baldanzosa dove il pianoforte viene persino preservato. Ma è la raucedine di Kursch a farla da padrona: fra cori epici e atmosfere da osteria bavarese, i Blind Guardian, goffi ed efficaci come sapevano essere una volta, rendono omaggio ai loro miti di sempre in tempi ancora non sospetti, quando la Notte all’Opera non era ancora in agenda…

Rimaniamo in terra dei crucchi con gli Helloween, i quali con “Metal Juke-Box” spaziano a più non posso: dagli Scorpions ai Jethro Tull, dai Beatles agli Abba, dai Faith No More a David Bowie. Per farci un’idea ci siamo andati ad ascoltare proprio “Space Oddity” del Duca Bianco, e che dire, non ci è piaciuta per niente (perché farla uguale e non metal? Per giunta senza la voce di Bowie?). Meglio allora i Gamma Ray che ripropongono in salsa power la già di per sé epica  Return to Fantasy” (grandissimo pezzo!) degli Uriah Heep. Stranezze della vita: Kay Hansen & soci decideranno di cimentarsi anche con il pop dei Pet Shop Boys di “It’s a Sin”, con risultati non esaltanti. Gli Edgay rispondono con “Hymn” degli Ultravox, peraltro coverizzati anche dai gothic-doomer Celestial Season con “Vienna” (tutti esperimenti trascurabili a parere del sottoscritto). Gli italiani Vision Divine, dal canto loro, preferiscono andare sul sicuro con il classico intramontabile “The Final Countdown” degli Europe, praticamente identica all’originale, se non fosse per la pronuncia di Lione (…).

Sempre in Germania risiedono i Rage che, all’indomani della svolta “sinfonica”, ebbero l’idea di confrontarsi con i Rolling Stones riproponendo un brano emblematico come “Paint it Black”, a parere di chi scrive uno dei migliori brani rock di sempre. Pensate che mi piace persino la versione della Caselli, mentre quella di Peter “Peavy” Wagner non mi entusiasma: troppo lenta, assolutamente priva di quell’argento vivo che si portava addosso l’originale. Apriamo dunque la parentesi sui Rolling Stones, celebrati almeno quanto i Beatles, se non di più. Ma se i Fab Four troveranno grandi soddisfazioni nei confronti dei loro “nipotacci” metallari, Mick Jagger & co. avranno invece di che lamentarsi. Falliscono i Tiamat, che di “Sympathy for the Devil” ne fanno una scialba versione goth-rock; falliscono i Guns N’ Roses, che pubblicano “Sympathy for the Devil” (incisa appositamente per la colonna sonora di “Intervista col Vampiro”) nel loro periodo più sfigato, all’indomani del disastroso “The Spaghetti Incident?” con Slash oramai con un piede fuori dalla porta. Falliscono anche gli infallibili Death SS, che nel campo delle cover si erano mossi piuttosto bene. La loro versione di “Sympathy for the Devil” (aridaje! Come se gli Stones non avessero fatto altri pezzi!) risente del periodo electro-industrial che la band viveva ad inizio millennio, risultando così un po’ meccanica e fredda  nell’elaborazione. Meglio allora riandarsi ad ascoltare le artigianali “Come to the Sabbath” (Black Widow), “I Love the Dead” (Alice Cooper), “In Ancient Days” (ancora Black Widow), “Death Walks Behind You” (Atomic Rooster), “Rabies is a Killer” (Agony Bag), pescate nelle acque più torbide del rock, con vero gusto di intenditore.

Altre scelte di classe sono state compiute da Agalloch e Rotting Christ, che sono andati a rovistare nel mistico universo del folk apocalittico, rispettivamente con “Kneel to the Cross” (Sol Invictus) e “Lucifer Over London” (Current 93), consegnandoci versioni sentite e decisamente personalizzate (del resto dal neo-folk al black metal, sebbene siano generi affini da un punto di vista concettuale, il salto rimane bello grosso!). Non paghi, i greci rilanceranno con “Orders from the Dead” della grandissima Diamanda Galàs. C’è da dire che anche per questo aspetto, il black metal, come genere, è in grado di fare delle scelte meno scontate della media. E’ il caso dei norvegesi Carpathian Forest che rifanno “A Forest” dei Cure (non riuscendo però a bissare l’intensità dell’ineguagliabile originale). Dal dark al dark, fanno peggio i Crematory con “Temple of Love” (The Sisters of Mercy), che si lasciano dietro una versione banale con chitarre svogliate in sottofondo, tastierina Bontempi e growl affaticato (ma è anche vero che i tedeschi mi hanno sempre fatto vomitare e che secondo me, a guardarli uno per uno, sono veramente i più brutti di tutti).   

A proposito di gente ridicola, rimangono da citare le assordanti strimpellate di basso di Joey DeMayo, che più volte si è cimentato con arie classiche (“William’s Tale” vergata da Gioacchino Rossini e “Sting of the Bumblebee” – il celebre “Volo del Calabrone”, peraltro rivisitato anche dai Dream Theater).  Che dire del buon DeMayo, gli vogliamo tanto bene e quel marasma sonoro che esce dalle sue casse ha in effetti un suo perché: quanto ci basta per farci andare bene quell'orrendo frastuono mentre attendiamo il prossimo grande brano anthemico dei Kings of Metal. E se i Sepultura (quelli nuovi, con Derek Green alla voce) si gettano in una azzardata cover degli U2 (“Bullet the Blue Sky”), l’ex Max Cavalera con i suoi Soulfly risponde a tono con una hardcoreggianteSmoke on the Water” (vabbè, non c’è da specificare di chi), lasciandoci, in entrambi casi, con l’impressione che le due entità farebbe meglio a ricongiungersi ed estinguere quelle due inutili carriere che sono da un lato i Sepultura senza i Cavalera e dall’altro i Soulfly!

Chiudiamo dunque in bellezza: i Dark Angel con “Immigrant Song” dei Led Zeppelin ci regalano l’unico momento orecchiabile nel massacrante “Leave Scars”; i geniali Celtic Frost scherzano con il fuoco ed aprono il loro capolavoro assoluto con “Mexican Radio”, hittone new-wave targato Wall of Voodoo (e meno male che gli svizzeri se lo possono permettere…). Gli Wasp tributano i maestri Who con una adrenalinica “The Real Me” (e, non ci potrete credere, l’originale è più waspiana della versione cantata da Blackie Lawless!); gli A Perfect Circle, infine, ci allietano con la riproposizione (da brividi) del brano lennoniano per eccellenza “Imagine”: un inno pacifista trasformato in un tragico ed inquietante slowmotion marchiato dal canto alienante del sempre ottimo Maynard James Keenan (a proposito, ma quando cazzo esce l’ultimo dei Tool?????).

P.s. ma alla fine, la meglio di tutti rimane, a lanciare granate dal fronte opposto, Tori Amos, che ripropone “Raining Blood” (si!, quella degli Slayer!!!) nientemeno che in versione per solo piano e voce. Irriconoscibile, ma apprezziamo lo sforzo, Tori, di te ci va bene tutto…