I 10 MIGLIORI ALBUM A.O.R.
CAPITOLO 1: BOSTON - "BOSTON" (1976)
Il 09 marzo di quest’anno è ricorso il decimo anniversario della scomparsa di Brad Delp, storico cantante dei Boston, suicidatosi nel 2007 a 56 anni.
Per la nostra classifica dei 10
migliori album AOR, vogliamo partire da lui e dalla sua magica voce; da un lato
per commemorarlo e dall’altro perché, lo metto subito in chiaro, l’omonimo
debutto dei Boston è un capolavoro
dell’AOR.
Se da un lato l’album potrebbe
quasi essere considerato il parto di un’unica mente, quella del leader e
fondatore della band Tom Scholz (è
lui l’autore integrale di 7 brani su 8), dall’altro è evidente come solo
l’incredibile estensione vocale di Delp abbia potuto rendere il tutto perfetto
e unico. E sancire il successo strepitoso di cui il disco godette (oltre 25
milioni di copie vendute!).
Insomma, inizio migliore per la
nostra Rassegna non poteva esserci anche perché “Boston” contiene in
sé, mirabilmente riassunte, tutte le caratteristiche principali di cui avevamo parlato
nella nostra Anteprima. Vale a dire: melodie dirette ma ricercate, improvvisi
squarci di potenza rock, profondità negli arrangiamenti caratterizzati da un
enorme lavoro delle chitarre (con un originalissimo utilizzo, nel mixaggio, di più linee
portanti). E poi: cori trascinanti, assoli sopraffini, produzione di alta
qualità.
Purtroppo, o per fortuna (a
seconda dei punti di vista), i Boston saranno per sempre quelli di More than a
feeling, il singolone di successo che gli diede fama, vendite, permanenza
nelle classifiche e, in fin dei conti, l’immortalità artistica. “More than a feeling”, l’opener di
questo omonimo debut, è la classica canzone che tutti conoscono, anche chi non
mastica rock; per quanto ne so la potrebbero conoscere persino i miei genitori,
pur magari non sapendo chi l’abbia composta.
Ma sarebbe un gravissimo errore
fermarsi a essa, o tutt'al più alla seconda traccia, la quasi altrettanto famosa
“Peace of mind”, identificando i Boston con questi dieci minuti di grandissima
musica. Sono due canzoni strepitose, ok, ma è tutto l’album che fila come un
treno nelle sue otto tracce, grazie all’immenso gusto di Scholz nelle scelte
armoniche e melodiche e l’utilizzo massiccio e continuo di giochi a incastro di
chitarre acustiche ed elettriche pesantemente distorte; elementi che
rispecchiavano da un lato la formazione classica di Tom e dall’altro la sua
passione per le band protometalliche che avevano visto la luce nei 7-8 anni
precedenti (in particolare i The Kinks
e i fondamentali Blue Cheer).
A rafforzare l’estro artistico di
Scholz ci sono poi le testimonianze di brani più sperimentali, come le divagazioni
prog (guidate da incredibili assoli di organo!) costruite su un impianto boogie
di “Smokin’”; o l’intro “Foreplay” che assomiglia maledettamente a “The Ides of
March” dei Maiden (ma composta nel 1972, cioè quasi 10 anni prima!).
Per i più romantici, c’è anche l’immancabile
power ballad, “Let me take you home tonight” (unico brano scritto interamente
da Delp) che suggella degnissimamente l’opera, anche perché i Boston le donano
una struttura sinuosa, con un finale super adrenalinico che la rende non una
smielata canzone d’amore ma una cazzutissima rock song.
In un periodo in cui la facevano
da padrona, a livello di vendite e classifiche, gruppi ed artisti come ABBA, Donna
Summer, Gloria Gaynor, Barry White, Bee Gees e compagnia disco-danzereccia, i
Boston ruppero questo monopolio che si stava creando negli USA a metà degli
anni settanta. E lo ruppero con musica “dura”, che, memore della lezione, in
questo caso concettuale e non stilistica, dei Black Sabbath (con i quali non a
caso nel 1976 la giovane band andò in tour facendole da supporto) non aveva più
nulla a che spartire con le reminiscenze blues delle band proto, ma piuttosto con “colte” influenze prog delle grandi formazioni di fine sessanta/inizio
settanta (EL&P e Deep Purple su tutte).
“Boston” a 41 anni dalla sua
uscita rimane per tutti questi motivi un disco freschissimo, frutto di
un’elevatissima qualità del songwriting e di un sound che ancor oggi, in ambito
rock, rimane attualissimo. Tanto
da poter utilizzare proprio il chorus “It’s more than a feeling, when I hear
that old song they used to play”.
A cura di Morningrise