"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

27 lug 2017

BOSTON, BEN PIU' DI UNA SENSAZIONE...


I 10 MIGLIORI ALBUM A.O.R.

CAPITOLO 1: BOSTON - "BOSTON" (1976)

Il 09 marzo di quest’anno è ricorso il decimo anniversario della scomparsa di Brad Delp, storico cantante dei Boston, suicidatosi nel 2007 a 56 anni.

Per la nostra classifica dei 10 migliori album AOR, vogliamo partire da lui e dalla sua magica voce; da un lato per commemorarlo e dall’altro perché, lo metto subito in chiaro, l’omonimo debutto dei Boston è un capolavoro dell’AOR.

Se da un lato l’album potrebbe quasi essere considerato il parto di un’unica mente, quella del leader e fondatore della band Tom Scholz (è lui l’autore integrale di 7 brani su 8), dall’altro è evidente come solo l’incredibile estensione vocale di Delp abbia potuto rendere il tutto perfetto e unico. E sancire il successo strepitoso di cui il disco godette (oltre 25 milioni di copie vendute!).

Insomma, inizio migliore per la nostra Rassegna non poteva esserci anche perché “Boston” contiene in sé, mirabilmente riassunte, tutte le caratteristiche principali di cui avevamo parlato nella nostra Anteprima. Vale a dire: melodie dirette ma ricercate, improvvisi squarci di potenza rock, profondità negli arrangiamenti caratterizzati da un enorme lavoro delle chitarre (con un originalissimo utilizzo, nel mixaggio, di più linee portanti). E poi: cori trascinanti, assoli sopraffini, produzione di alta qualità.

Purtroppo, o per fortuna (a seconda dei punti di vista), i Boston saranno per sempre quelli di More than a feeling, il singolone di successo che gli diede fama, vendite, permanenza nelle classifiche e, in fin dei conti, l’immortalità artistica. “More than a feeling”, l’opener di questo omonimo debut, è la classica canzone che tutti conoscono, anche chi non mastica rock; per quanto ne so la potrebbero conoscere persino i miei genitori, pur magari non sapendo chi l’abbia composta.

Ma sarebbe un gravissimo errore fermarsi a essa, o tutt'al più alla seconda traccia, la quasi altrettanto famosa “Peace of mind”, identificando i Boston con questi dieci minuti di grandissima musica. Sono due canzoni strepitose, ok, ma è tutto l’album che fila come un treno nelle sue otto tracce, grazie all’immenso gusto di Scholz nelle scelte armoniche e melodiche e l’utilizzo massiccio e continuo di giochi a incastro di chitarre acustiche ed elettriche pesantemente distorte; elementi che rispecchiavano da un lato la formazione classica di Tom e dall’altro la sua passione per le band protometalliche che avevano visto la luce nei 7-8 anni precedenti (in particolare i The Kinks e i fondamentali Blue Cheer).

A rafforzare l’estro artistico di Scholz ci sono poi le testimonianze di brani più sperimentali, come le divagazioni prog (guidate da incredibili assoli di organo!) costruite su un impianto boogie di “Smokin’”; o l’intro “Foreplay” che assomiglia maledettamente a “The Ides of March” dei Maiden (ma composta nel 1972, cioè quasi 10 anni prima!).

Per i più romantici, c’è anche l’immancabile power ballad, “Let me take you home tonight” (unico brano scritto interamente da Delp) che suggella degnissimamente l’opera, anche perché i Boston le donano una struttura sinuosa, con un finale super adrenalinico che la rende non una smielata canzone d’amore ma una cazzutissima rock song.

In un periodo in cui la facevano da padrona, a livello di vendite e classifiche, gruppi ed artisti come ABBA, Donna Summer, Gloria Gaynor, Barry White, Bee Gees e compagnia disco-danzereccia, i Boston ruppero questo monopolio che si stava creando negli USA a metà degli anni settanta. E lo ruppero con musica “dura”, che, memore della lezione, in questo caso concettuale e non stilistica, dei Black Sabbath (con i quali non a caso nel 1976 la giovane band andò in tour facendole da supporto) non aveva più nulla a che spartire con le reminiscenze blues delle band proto, ma piuttosto con “colte” influenze prog delle grandi formazioni di fine sessanta/inizio settanta (EL&P e Deep Purple su tutte).

“Boston” a 41 anni dalla sua uscita rimane per tutti questi motivi un disco freschissimo, frutto di un’elevatissima qualità del songwriting e di un sound che ancor oggi, in ambito rock, rimane attualissimo. Tanto da poter utilizzare proprio il chorus “It’s more than a feeling, when I hear that old song they used to play”.

Null’altro da aggiungere a queste parole…

A cura di Morningrise