"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

8 feb 2018

A NIGHT WITH...THERION! LIVE AT ISLINGTON ASSEMBLY HALL, LONDON - 03/02/2018


Sebbene nel corso degli ultimi quindici anni il mio interesse per i Therion sia andato scemando progressivamente, non potevo esimermi da andare a vedere dal vivo coloro che, ormai più di venti anni fa, sono stati degli autentici eroi della mia gioventù metallica.
Il "circo" del buon Christofer Johnsson è in città per promuovere il nuovo di zecca "Beloved Antichrist", mastodontica rock-opera che nelle ambizioni del suo autore verrà un giorno rappresentata in teatro con tanto di orchestra, coro ed attori. Ma non sarà una faccenda di stasera (fortunatamente, aggiungo io!), visto che il tour appena intrapreso dagli svedesi sarà impostato su una scaletta composta in parte da brani nuovi e in parte dagli immancabili classici della band.
Amanti del symphonic metal, fatevi avanti!

Maledetti Nightwish: questo è quello che vien da pensare assistendo all'esibizione dei Midnight Eternal. Gli americani, tanto per cominciare, si ritrovano costretti a muoversi nei pochi metri quadrati lasciati liberi dagli strumenti altrui. La minuta Raine Hilai (agghindata in modo dozzinale in stile burlesque con abiti da due soldi che la fanno assomigliare a Biancaneve) pare dotata di una voce discreta, cosa che però non si può dire per il carisma, data la scarsa personalità sfoggiata sulle assi.
Non aiutano i signori che si trova accanto (fra l'altro di una certa età), uno in gonnella, l'altro con un cilindro in capo. Il colpo d'occhio offerto, l'avrete intuito, non è dei migliori, e certo non giova ad una proposta assai poco entusiasmante: non altro che il tipico power metal sinfonico di marca Kamelot e Nightwish, come espresso ormai fuori tempo massimo nel loro omonimo debutto del 2016. E nonostante i quattro offrano una prestazione di cuore, ad applaudirli sotto il palco sono veramente in pochi.
Ahimè, dobbiamo con amarezza constatare che stasera l'Islington Assembly Hall sarà lontano dal registrare il tutto esaurito, cosa che invece mi sarei aspettato considerato un nome storico come quello dei Therion in testa al bill. La qualità del pubblico sembra andare di pari passo con la quantità, visto che non si  ha certo l’impressione di essere circondati da gente entusiasmante. Quel parterre di personaggi bislacchi e fascinose dark-lady assicurato da ogni concerto black metal che si rispetti, qua è sostituto da figuri mestamente ordinari, certi di essi anche di età elevata (intendo sopra i cinquanta!), sebbene lo zoccolo duro sia composto da giovanissimi, in prevalenza nerd, con picchi di sub-normalità che rasenta situazioni da assistenza sociale. Un esempio su tutti: quella coppia di gioiosi pachidermi (lei persino nelle svolazzanti vesti da fata) che, saltando all'unisono, fanno oscillare in modo molesto il pavimento di legno (non scherzo: per un paio di volte mi sono visto costretto a cambiare posizione per via del mal di mare procuratomi dai sobbalzi dei due).
I Null Positiv si preparano sul palco e già tutto sembra più professionale, a partire dal logo che campeggia sullo sfondo e il look "cyber-dark" dei componenti, nero-vestiti con mascherine nere pitturate sul volto intorno agli occhi. L'ingresso della carismatica leader Elli Berlin è persino impressionante, sarà perché è alta almeno il doppio di chi l'ha preceduta. Il growl sfoderato dalla gentil donzella all'incipit del primo brano è però una spiacevole sorpresa per il sottoscritto, che già si era preparato a sorbirsi tre quarti d'ora di scialbo emo-metal (ma si chiama così questa musica?).
Con i brani successivi la Nostra avrà modo di tornare su grintosi registri puliti, sfiorando quello spleen di malinconia mischiato a sentimenti di ribellione che è tanto in voga negli ambienti metal-core, ma sinceramente parlando non mi entusiasmano nemmeno i Null Positiv, portatori di sonorità che già non mi facevano impazzire venti anni fa, figuriamoci oggi. Rimane apprezzabile il fatto che Sepultura e Tool sono divenuti cemento rappreso nelle fondamenta di queste nuove leve. Mi domando però come mai siano stati inclusi in questa tournée, visto che rispetto al profilo rigorosamente symphonic della serata ci incastrano come i cavoli a merenda: se non fosse stato per l'eccellente presenza di quella splendida stangona teutonica sul palco, non so in quanti avrebbero seguito con interesse l'esibizione.
In perfetta linea con gli umori della serata saranno invece i russi Imperial Age, che offriranno al pubblico pane per i propri denti. A supportare un sound orchestrale e pomposo più che mai, vengono impiegate ben tre ugole: quella del leader Alexander Osipov (dotato di una profonda voce da tenore, ma anche di una presenza scenica poco credibile), e quelle di Alexandra Sidorova (soprano) ed Evgeniya Odintsova (mezzo soprano e tastiere), due gran bei pezzi di figliole che, attirando costantemente l'attenzione sulle proprie grazie, hanno scongiurato l'inevitabile effetto pagliacciata suscitato da cinque uomini vestiti in abiti da cosacchi. C'è inoltre da aggiungere che i Nostri si dimostreranno affabili e ben disposti ad interagire con il pubblico, peccando a tratti di ingenuità, ma arrivando con cuore e passione laddove non arrivano con tecnica e maturità.
La loro proposta risente indubbiamente degli influssi culturali della terra di origine, e certo questo aspetto conferisce sfumature peculiari ad un suono che è pervaso dai cliché tipici del symphonic power metal, ma che cerca una via di differenziazione puntando più sull'atmosfera che sulla velocità. Quelli che escono dalle casse sono brani meno "speed" e maggiormente pregni di pathos e di maestosa epicità, vivacizzati continuamente dalle tre voci che si accavallano o si danno il cambio: proprio come insegnato dai maestri Therion.
Passiamo dunque al piatto forte della serata. L'evento clou sta per arrivare, ma sotto il palco si sta ancora piuttosto larghi: caro Christofer, ho paura che dovrai abbandonare le ambizioni di portare in un teatro la tua opera rock, perché il rischio è che, a conti fatti, vi siano più musicisti ed attori in scena che spettatori in platea. E, poi, detto fra di noi, era così necessario un triplo album, tre ore e passa di musica, quarantasei canzoni, ventinove cantanti?
Meglio allora limitarsi ai sette musicisti sul palco di questa sera, ossia Christofer Johnsson e coloro che (più o meno) costituiscono i suoi compagni di viaggio da dieci anni a questa parte. Dietro al microfono troviamo Thomas Vikstrom, Linnea Vikstrom e Chiara Malvestiti, mentre nelle retrovie registriamo la presenza degli immarcescibili Christian Vidal alla chitarra, Nalle Pahlsson al basso e Johan Koleberg alla batteria. Gli ultimi due offrono una solida base ritmica, mentre il virtuoso ed ispirato Vidal si occupa dei ritocchi, visto che Johnsson rimarrà saldo nel ruolo di chitarrista ritmico.
Soffermiamoci sulla figura di quest'ultimo, armato di gilet, completo, cilindro ed occhialini tondi: mi spiace doverlo ammettere, considerata la stima incondizionata che riserbo per così tanto geniale autore, ma a vederlo cosi conciato sembra per davvero un povero coglione. Non solo per l'aspetto, ma anche per l'atteggiamento, dispensando spesso siparietti evitabili e pose da guitar-hero da quattro soldi. Ma come del resto non voler bene all'autore di album come "Theli" e "Vovin"??
E come non rimanere affascinati da una carrellata di venti splendidi brani chiamati a rappresentare venti anni di storia della band? Per quanto non abbia più di tanto apprezzato la "svolta power" intrapresa nel corso degli anni zero, devo ammettere che i Therion non hanno mai smesso (salvo in anni recenti) di rilasciare prodotti più che buoni. E il canzoniere da cui oggi i Nostri possono attingere è sicuramente portentoso, basti pensare ad episodi come "The Blood of Kingu", "The Son of the Sun", The Khlysti Evangelist", "Der Mitternachtslowe" e "Son of the Staves of Time". Omesso giustamente il passo falso costituito dall'esperimento "Les Fleurs du Mal", la succulenta e ben farcita scaletta di stasera ha comprensibilmente un occhio di riguardo per i nuovi brani, i quali non sembrano smuovere di una virgola il caratteristico sound professato dalla band nelle ultime due decadi.
Da un punto di vista esecutivo non si registrano cali di tensione, essendo la band in palla e il range di sonorità da cui pescare molto vario: dal prog all’hard-rock, dal metal classico a quello estremo, dal folk alla musica classica. Menzione d'onore per la sempre coinvolgente "Typhon" (con la Vikstrom sugli scudi convincente anche sul fronte del growl) e la bellissima "Lemuria" (con la Malvestiti in primo piano) che ha saputo ricreare un'atmosfera da sogno, complice un uso sapiente delle luci. Vikstrom non è un cantante impeccabile, ma sa obiettivamente tenere il palco: tronfio con la sua livrea piena di galloni entra ed esce come se fosse nel suo salotto, elargendo smancerie alle dame, peraltro succinte in vesti sobrie e pudiche. I musicisti, invece, sia nel look che nell'atteggiamento, manterranno un profilo fottutamente heavy metal.
Personalmente parlando, quello di cui io godo internamente (ma sono consapevole che si tratta di una impressione solo mia) è notare come sotto il pomposo guscio sinfonico sopravviva la "Svezia estrema degli anni novanta", quella dei riff grassi di Entombed e Tiamat (quando ancora suonavano metal). E' logico dunque che ad un fan della prima ora come me gli occhi brillino principalmente per i pezzi più datati, quelli più densi di ricordi ed emozioni personali, quelli di "Theli" e "Vovin". Quest'ultimo viene rappresentato da ben tre episodi: "Wine of Aluqah" (vera svolta della serata), "Birth of Venus Illegitima" (per me momento top) e la maestosa "The Rise of Sodom and Gomorrah", che dal vivo rende decisamente meglio che su disco. Il magico "Theli" viene invece portato sul palco con la grandiosa "Cults of the "Shadow" (un concentrato di pura genialità compositiva) e l'immancabile "To Mega Therion" a cui è affidato il gran finale (bello, di traverso, risentire il caratteristico growl di Johnsson, a cui Vikstrom porte gentilmente il microfono durante il ritornello).
Strano pensare che la band sia cresciuta sotto l'insegna del gothic (ambito usualmente ombroso) quanto oggi invece, ed in particolare sul palco, essa sembra voler incarnare la positività di certo "happy metal" e, più in generale, poggiare sulle certezze confortanti e sulle energie vive dell'hard-rock degli anni settanta e del metal degli anni ottanta. E' stata, in definitiva, una serata gioiosa, divertente, una di quelle serate che ti mette felicità e ti lascia con un sorriso ebete sulle labbra.
E di questi tempi non è cosa da poco…