Capitolo 1: "UNLEASHED IN THE EAST" (1979)
Quando i Judas Priest debuttarono
con il loro primo full lenght (il vituperato “Rocka Rolla”, 1974) dovevo ancora
nascere. E quindi, per motivi anagrafici, sono stato costretto a conoscerli
(loro come tutti gli altri Padri del nostro genere preferito) attraverso una
ricostruzione a posteriori della loro discografia. Ricostruzione effettuata in base alle letture su riviste prima, passaparola con amici poi e infine in internet.
Tutte le mie "fonti" erano concordi: “Unleashed in the east” (1979) è
la prima pietra miliare accostabile al nome dei Judas. La prima "cosa da avere" del Prete di Giuda.
Ok, nessun problema, direte voi. Giusto così. E invece no: inizialmente questa informazione mi
spiazzò se giustapposta ad un'altra. E cioè: come mai, a livello di album in studio, venivano citati come imprescindibili
tutti dischi successivi al 1979? “British steel”, “Defenders of the faith”,
“Screaming for vengeance”, “Painkiller”: erano questi i quattro vertici del
tetraedro priestiano che tutta la critica ha sempre indicato come l’essenza dei
JP.
E allora questo come faceva a
conciliarsi con quanto detto sopra? Cioè, i migliori Judas come potevano essere quelli di "Unleashed In The East" pur non potendo contare su nessuna delle canzoni del repertorio
successivo?
Beh, per chi scrive, anche se giunta a posteriori, la risposta è semplice:
perché la parte di carriera settantiana dei Judas è altrettanto valida
e importante di quella ottantiana, seppur diversa. Ne è l’imprescindibile
corollario per capire il passaggio dall’hard rock all’hard and heavy fino
all’heavy metal.
Se album come il già citato debut
e lo stesso “Sin after sin” non fossero di certo dei capolavori, è altrettanto
vero che l’accoppiata “Sad wings of destiny” & “Killing machine” sono
album pazzeschi e già compiutamente heavy (non a caso 9 dei 13 brani del live qui trattato verranno estrapolati da questi due platters).
Ed è proprio per questo che
UITE è così decisivo: perché ferma i Judas nel loro primo punto d’arrivo e
contestuale punto di partenza. 5 anni erano passati da “Rocka rolla” e la band
che era ancora una larva che mischiava rock, blues, un po’ di psichedelia e
qualche influenza sabbathiana, album dopo album era giunta ad essere una
splendida farfalla made of metal (per dirla à-la-Judas). Unleashed è quindi un
puro live di heavy metal perchè anche quei brani che su disco potevano essere
intesi come (hard) rock, in queste due date giapponesi, assumono una splendida
veste heavy (ascoltare “Tyrant” o la conclusiva “Starbreaker” per avere
un’idea).
Si potrebbe anche rispondere
soltanto con quanto detto brillantemente nell’Anteprima dal nostro Mementomori, su cosa c'è da ricercare in un disco dal vivo:
“il guizzo imprevisto, l’improvvisazione che ti sorprende, la sinergia tra i
componenti della band”…si, perché in UITE c’è tutto questo e di più. Glenn Tipton e K.K. Downing mettono in
mostra quei duetti che sarebbero diventati (anzi, lo erano già nel 1979!) il
loro marchio di fabbrica, improvvisando e sparando assoli al fulmicotone uno
più bello dell’altro; Ian Hill è parte integrante del sound con un pulsare del
basso sempre rotondo e ben udibile, ideale contrappunto al monumentale lavoro
delle due asce; il fortunato Les Binks, (che fece parte della band appena due
anni ma in tempo per finire dentro ad UITE!) fa il suo con precisione dietro al
drum kit. E Rob? Beh...Rob Halford, con i suoi 28 anni già nel pieno della maturità vocale e
artistica, è la punta di diamante del tutto e le sue interpretazioni, ad esempio, di
“Tyrant” o “Victim of changes” rimarranno scolpite per sempre nell’immaginario
di ogni metalhead.
Come rimarranno scolpite le improvvisazioni che
allungano di almeno un paio di minuti “Genocide”, altro highlight del live, che qui assume una nuova veste d’acciaio...o quella della già estesa
“Sinner”, al termine della quale troviamo le urla da pelle d'oca, con annessi acuti pazzeschi, di Halford; e se, come si dice, questi siano stati ritoccati/inseriti in studio (posto che Rob, a quanto si racconta, non godeva di ottima salute in quei giorni nipponici)…ebbene, pazienza! Le emozioni sono comunque
assicurate!
Lasciamo parlare i detrattori che
lo apostrofano ancora come Unleashed in the Studio (certo…gli strilli del
pubblico che si elevano a comando in “Tyrant” o “Starbreaker” sono un po’
ridicoli…). Non ce ne curiamo. Qua abbiamo un live album che ancora adesso, a
quasi 40 anni dall’uscita, sa colpire diretto in pancia come pochi altri. E
spiega perché i Judas saranno per noi tutti sempre e soltanto i METAL GODS!
All hear my warning...never turn your back...ON THE RIPPER!