A volte
la lunghezza conta. Idioti doppi sensi a parte, con la
presente rassegna intenderemo guardare il metal da un’altra
prospettiva ancora: quella delle composizioni di estesa durata,
che certo non scarseggiano nel vasto Reame del Metallo.
Premessa
fondamentale. Senza dover risalire al neolitico, ci accontenteremo in
questa sede di affermare che il rock (nella sua accezione più
ampia) può essere visto come quella variante della popular music
che vede il suo format ideale nello schema
strofa-ritornello che band come Beatles e
Rolling Stones (tanto per fare i nomi più stronzi) resero
funzionale e celebre nel corso degli anni sessanta: a queste
condizioni, il rock era una faccenda che poteva tranquillamente
concludersi nell’arco di tre/quattro minuti. Da qui il pregiudizio
che il rock fosse un genere musicale “facile”, semplice ed
esclusivamente per adolescenti.
Fu il
movimento del progressive, sul finire degli anni sessanta, a
“nobilitare” il rock rivestendolo di una complessità che era
propria della musica classica, del jazz e dell’avanguardia.
L’ambizione era di superare gli angusti confini del formato
canzone, non tanto andando a bissare le improvvisazioni-fiume del
jazz (comunque non escluse a priori), quanto costruendo suite
sul modello di certi schemi adottati nella musica classica. In musica
la suite (in francese: successione) è un
insieme di brani per uno strumento solista, un complesso da camera o
un’orchestra, concepiti per essere eseguiti in sequenza. Nel rock,
in termini profani, la suite è una composizione che trascende
il formato canzone per ampliarsi e svilupparsi in una forma più
estesa e complessa: questo modus componendi et operandi è
tipico del rock progressivo. Fra le suite più celebri
annoveriamo senz’altro “Lizard” dei King Crimson
(durata: 23:15), “Tarkus” degli Emerson, Lake &
Palmer (20:42) e “A Plague of Lighthouse Keepers” dei
Van Der Graaf Generator (23:04). La suite non era comunque
l’unico modo per “evadere” dalle angustie del pezzo
mordi-e-fuggi. Il prog, più in generale, era libertà
compositiva ed esibizionismo esecutivo. E l’elevato tasso tecnico
dei musicisti rendeva letteralmente possibile l’impossibile.
Doveroso citare, a tal riguardo, altri illustri esempi come “The
Musical Box” dei Genesis (10:27), “Close to the
Edge” degli Yes (18:43), “Nine Feet Underground”
dei Caravan (22:43) e “Moon in June” dei Soft Machine
(19:08).
Ma il
“brano lungo” non è stato appannaggio del solo universo prog. I
Jethro Tull, pur non ascrivibili al progressive in senso
stretto, annoverano nella propria discografia ben due album
costituiti da un’unica composizione: “Thick as a Brick”
(divisa in due parti di 22:45 e 21:05) e “A Passion Play”
(idem, 21:36 e 23:31). Vi è poi lo strano caso dei Pink Floyd,
campioni indiscussi in materia, tanto che essi seppero scrivere ben
due diverse tipologie di “brano lungo”. Ad inizio carriera, in
veste di paladini del rock psichedelico, componevano brani come
“Interstellar Overdrive” (9:41) e “A Saucerful of
Secrets” (11:57): strabilianti viaggi allucinogeni figli
dell’improvvisazione e dell'assunzione di droghe. A tal riguardo è
importante precisare che il rock psichelico in generale vedeva
nel brano di estesa durata il veicolo per dare sfogo alle proprie
visioni. Chiedetelo ai Grateful Dead di Jerry Garcia
(sostenitori della jam infinita) o ai Doors, che vale
la pena nominare almeno per l’immensa “The End” (11:40),
incredibile flusso di coscienza animato dal soliloquio sciamanico di
Jim Morrison. E visto che si parla di sciamani, è impossibile
non citare anche l'imprescindibile Jimi Hendrix di “Voodo
Chile”, che in quei quindici minuti di cose ce ne ha insegnate.
Tornando ai nostri Pink Floyd, superata la fase psichedelica, essi
seppero cimentarsi, con risultati veramente egregi, in suite
progressive vere e proprie, come “Atom Heart Mother”
(23:45), “Echoes” (23:31) e le due macro-sezioni di “Shine
on You Crazy Diamond” (rispettivamente 13:34 e 12:31).
Prima
di procedere oltre, riteniamo opportuno accennare ad un ulteriore
filone: dalle intuizioni delle band prog germogliò in terra tedesca
una schiera di formazioni che sarebbero poi state etichettate come
kraut-rock (Can, Faust, Neu!, Amon
Duul II ecc.): le loro audaci sperimentazioni avrebbero
dato il là ai pionieri dell’elettronica (Kraftwerk) e della
musica cosmica (Tangerine Dream, Ash Ra Tempel, Klaus
Schulze, Popol Vuh ecc.). Per tutti questi ambiti la
“composizione lunga” sarebbe stata la dimensione ideale per
esprimere il proprio potenziale artistico. Ma alla base delle gesta
dei crucchi del kraut-rock vi era forse la band più seminale di
tutti i tempi, che nemmeno noi gretti e puzzolenti metallari ci
possiamo esimere dal citare: i Velvet Underground. Se mi
chiedete che genere suonassero i newyorkesi, non vi saprei
rispondere: quello che potrei dirvi è che tutto, più o meno, viene
dai Velvet Underground e dai loro primi due album. Quanto al tema di
cui stiamo dibattendo, essi si resero responsabili di uno degli
esperimenti più stupefacenti della storia del rock: parliamo di
quella “Sister Ray” che con i suoi oltre diciassette
minuti di jam selvaggia, mise insieme rock, avanguardia,
psichedelia, noise, punk (peraltro ancora da inventare…).
Anche
l’hard-rock, che i suoi buoni musicisti ce li aveva, vanta
egregi esempi di brani di notevole lunghezza. Potremmo limitarci a
citare una “Stairway to Heaven”, che, nei suoi otto
minuti, introduce già tutti i topoi dell’hard-rock che verrà:
dall’evocativa ballata acustica all'adrenalinica parte finale,
passando dallo strepitoso assolo di Page. Ma vi sono altri “grandi”
brani disseminati nella discografia dei Led Zeppelin:
dall'immortale “Kashmir” (8:31), trasportata da uno dei
riff più noti di sempre, all’epica (proto-metal!) “Achilles
Last Stand” (10:25). Non erano da meno i “rivali” Deep
Purple, che con la mitica “Child in Time” (10:14), fra
meditazioni di organo, impetuosi crescendo, acuti strappa-tonsille ed
un assolo da infarto, toccavano una delle più alte vette del rock
tutto. A voler completare l’intero quadrilatero del rock duro,
possiamo citare anche gli Uriah Heep di “Salisbury”
(16:20) e i Black Sabbath di “Megalomania” (9:40),
anche se riteniamo che Ozzy & company il meglio l’abbiano
detto altrove.
Bene:
se ci siamo dimenticati di qualcuno non rompete i coglioni, è
impossibile citare tutti. Quello che ci premeva sottolineare è
l’idea che vi siano tre macro-tipologie di “brano lungo”: la
suite (che si sviluppa come sequenza di movimenti), la
“canzone estesa” (che, a scapito della lunghezza e delle
diverse aggiunte, mantiene lo schema strofa/ritornello) e la jam
(che procede come flusso e che può essere intesa sia nell’ottica
psichedelica che in quella avanguardistica). Le già citate “Tarkus”,
“Child in Time” e “Sister Ray” ne sono gli
esemplari più rappresentativi. Quando il metal deciderà di
“allungarsi”, adotterà di volta in volta uno di questi tre
modelli.
Eccoci
dunque al metal. Al momento della sua genesi, uno dei tratti
distintivi era sicuramente la violenza. Violenza che spesso veniva a
coincidere con una durata dei brani mediamente breve. Il concetto
diviene chiaro se guardiamo allo sviluppo, agli inizi degli anni
ottanta, del filone thrash metal, che proprio dalla velocità
del punk e dell’hardcore traeva ispirazione. Basti aver presente
che un album seminale come “Reign in Blood” ha una durata
complessiva di ventotto minuti: tolte “Angel of Death”,
“Post Mortem” e “Raining Blood”, i brani
rimanenti non raggiungono il traguardo del terzo minuto, con il
record negativo di “Necrophobic” che si ferma al minuto e
quarantotto secondi. Quello degli Slayer è solo un esempio
per esplicare il fatto che per essere più violenti c’era da
lavorare per riduzione, eliminare non solo la melodia, ma anche i
fronzoli e dunque dover necessariamente operare in “spazi stretti”.
Almeno agli inizi funzionava così: era una questione di
differenziazione e di formazione dell’identità.
Ma il
metal, annoverando dentro di sé tutto e il contrario di tutto, ha
dimostrato (come avevano già dimostrato gli avi Led Zeppelin
e Deep Purple) che si può essere pesanti ed anche “lunghi”.
Il metal contempla una serie sconfinata di suite o di
composizioni di durata estesissima. Come fare per individuarne solo
dieci?
Intanto
decidiamo quand’è che un brano si può definire lungo. Se,
personalmente parlando, ho sempre considerato come “lungo” ogni
brano che varcasse la soglia dei sette minuti, troppi sarebbero stati
i pezzi che avremmo dovuto contemplare nella nostra rassegna se
questo fosse il metro. Per circoscrivere il campo d’azione, abbiamo
dunque adottato una metodologia secondo la quale è un brano
lungo un brano di almeno dieci minuti. Ebbene, molte sono le
ottime composizioni che sono state tagliate fuori secondo questa
logica e che ci vediamo costretti a sacrificare. Basti citare
“Chance” dei Savatage (7:48) e “Master of
Puppets” dei Metallica (8:35), entrambe ottimi esempi di
come nel metal si possa brillantemente andare oltre il classico brano
da quattro minuti. Del resto, procedere in una giungla fitta
significa anche farsi avanti a colpi di machete.
A
questa regola, ne abbiamo aggiunta un'altra, ossia la decisione di
escludere quelle composizioni che sono state concepite come un album
intero. Tre in particolare sono gli esempi che potremmo elencare:
“Crimson” degli Edge of Sanity, “A Pleasant
Shade of Gray” dei Fates Warning e “Catch
Thirtythree” dei Meshuggah. E’ nostra opinione infatti
che sia arduo continuare a definire come “unica composizione”
malloppi di quaranta/cinquanta minuti suddivisi in sezioni che il più
delle volte potrebbero essere considerate singole canzoni. C’è una
teoria in sociologia che spiega che più individui insieme
costituiscono un gruppo, ma se il numero degli individui cresce, da
un certo punto in poi il gruppo smette di esistere in quanto tale,
tendendo a sfaldarsi in più sotto-gruppi. Riteniamo che la medesima
dinamica valga anche nel nostro caso. Perché se “A Pleasant Shade
of Gray” è “un brano”, io ho inventato il drone-ambient.
Posti
arbitrariamente questi limiti, la nostra attività di selezione si è
rivelata comunque un massacro. Pesca e ripesca, scegli e scarta,
smonta e ricomponi, nella nostra analisi non siamo riusciti a
limitarci a solo dieci brani per tutto l’universo metal: troppo
vasto quell’universo e troppi i candidati validi che rischiavano di
essere fatti fuori per colpa di un’impressione fugace e momentanea.
Da qui la decisione di rimandare quelle scelta e di schierare due
squadre: dieci brani appartenenti alla galassia del metal
classico e dieci provenienti da quella del metal estremo.
Perché questa suddivisione? Perché un brano “lungo” in un album
può avere due significati. Può essere il brano “straordinario”
fra gli altri ordinari: ed è questa la visione del metal classico.
Oppure, se si pensa a generi come il doom o il black metal o il
post-metal (dove la dilatazione, la dispersione, il crescendo,
l’adozione di suoni liquidi e slabbrati spalmati su non-strutture
che potrebbero non avere mai fine, è il modus operandi standard),
il brano lungo può costituire la normalità: ma c’è brano lungo e
brano lungo, e noi andremo a selezionare quelli a nostro giudizio più
significativi. Poiché i due approcci son diversi, non possono
metodologicamente coesistere. Due classifiche, dunque, venti
brani in tutto: un bacino dal quale, dopo tutte le nostre
riflessioni, andremo ad attingere, in sede di conclusioni, per
ricavare i dieci titoli migliori.
Ma
prima di procedere con la nostra impresa, diviene doveroso spendere
almeno due parole su un brano in particolare che è l’antesignano
di tutte le suite partorite dall’heavy metal.
Attenzione però, siamo ancora nel 1976 e la band non suona
metal in senso stretto. Stiamo per parlare dei…
X) Rush - "2112"
METAL CLASSICO
10) Manowar - "Achilles, Agony and Ecstasy in Eight Parts"
9) Running Wild - "Treasure Island"
8) Virgin Steele - "Veni, Vidi, Vici"
7) Blind Guardian - "And Then There Was Silence"
6) Iced Earth - "Dante's Inferno"
5) Queensrÿche - "Suite Sister Mary"
4) Voivod - "Jack Luminous"
3) Dream Theater - "A Change of Seasons"
2) Helloween - "Keeper of the Seven Keys"
1) Iron Maiden - "Rime of the Ancient Mariner"
Appendice I: Fates Warning - "Still Remains"
Intermezzo I: Anathema - "We, The Gods"
Intermezzo II: Type O Negative - "Black No. 1"
Intermezzo III: Neurosis - "Falling Unknown"
METAL ESTREMO
10) Venom - "At War with Satan"
9) Cathedral - "The Voyage of the Homeless Sapien"
8) Cradle of Filth - "Queen of Winter, Throned"
7) My Dying Bride - "The Light at the End of the World"
6) Void of Silence - "Human Antithesis"
5) In the Woods... - "Yearning the Seeds of a New Dimension"
3 - b) Opeth - "The Drapery Falls"
2) Bathory - "Blood Fire Death"
1) Burzum - "Det Som En Gang Var"
Appendice II / a) Italia Oscura: Paul Chain, Antonius Rex, The Black (parte I)
Appendice II / b) Italia Oscura: Paul Chain, Antonius Rex, The Black (part II)
Appendice III: The Ocean - "Pelagial"
Appendice IV: Ihsahn: "Undercurrent"