I 10 MIGLIORI
ALBUM DELLE CULT BAND (ANNI ’80)
1982: “THE UNEXPECTED
GUEST”
“Follow the Blind”, seconda release
dei Blind Guardian, pur essendo un album più che valido, non è certamente il
capolavoro dei Bardi di Krefeld, come abbiamo già avuto modo di sottolineare.
Kursch e compagnia decisero stranamente di chiuderlo con due cover. Una era
quella della celeberrima “Barbara Ann” dei Beach Boys. L’altra fu “Don’t break
the circle” dei Demon.
Quando ascoltai il brano la prima
volta, mi dissi: “Caspita, che botta! Gran pezzo!”. Ma chi cavolo erano questi
Demon??
A cura di Morningrise
Fu così che decisi di procurarmi
i dischi di questa seminale band della N.W.O.B.H.M., partendo dai primi due
full-lenght. Due dischi decisivi per ricostruire la scena britannica dell’epoca
e per scoprire un’altra delle sue numerose sfaccettature.
Se infatti nei primi
due capitoli della nostra Rassegna avevamo trattato prima gli aspetti più oscuri
e luciferini (con gli Angel Witch) e poi quelli più delicati e melodici (con i Praying Mantis) in questo terzo capitolo pare opportuno soffermarsi su un
aspetto altrettanto importante della New Wave: quello dark-“horrorifico".
La band capitanata dal cantante
Dave Hill e l’axe-man Malcolm Spooner infatti, decise di innestare sul proprio profilo musicale un approccio visivo particolarmente truculento, che veniva espresso soprattutto nelle esibizioni dal vivo, dove i Nostri si presentavano sul palco con vistosi
make-up e corpse paint e accordando la mimica ai testi delle loro canzoni.
Certo non erano i primi ad
utilizzare queste soluzioni: prima di loro aveva fatto scuola il c.d. “shock
rock” (che brutta definizione!) dei Kiss e, soprattutto, di Alice Cooper, quest'ultimo maestro nel fondere assieme la
musica hard rock con oscure soluzioni teatrali. E come dimenticare poi quello
che, proprio in quegli anni, stavano esprimendo i fenomenali Death SS in Italia
(pur senza riuscire a debuttare discograficamente, cosa che avverrà in maniera
compiuta solo nel 1988)?
Insomma, il trucco da film dell'orrore non era un elemento del tutto originale e aveva la non banale controindicazione di rischiare di risultare pacchiani.
Scontato dire che i Demon evitarono il
pericoloso tranello, risultando credibili al 100%…
Si, perché la band dello
Staffordshire andò oltre a tutto quello che avevano espresso gli artisti
succitati, riuscendo ad amalgamare mirabilmente quest’approccio estetico agli
stilemi del neonato Heavy Metal (mentre Kiss e Cooper rimanevano
nell’alveo della grande famiglia del Rock, pur avendo un'enorme influenza in tante branche del Metallo).
Ed è qua che risiede la loro importanza e
originalità. Che trovò il suo massimo fulgore in “The Unexpected Guest”.
Per la verità anche il disco
d’esordio della band non avrebbe sfigurato nella nostra Rassegna. “Night Of The
Demon” è infatti un album splendido (con una spettacolare copertina che dice
già molto della proposta musicale dei Nostri!), forse più grezzo e con una
produzione meno curata rispetto al suo successore. Ma mettetevi al buio,
sdraiati nel più completo silenzio, e fate partire l’intro “Full Moon” e poi
ditemi quanti brividi vi sono corsi lungo la schiena…è questo l’inizio del c.d. “horror metal” (definizione peraltro che per il sottoscritto ha significato solo per quanto riguarda il contorno, l'approccio visivo, e non tanto per la sostanza musicale), e lo scoppio vibrante della title track, altro brano
stra-coverizzato nel mondo metallico, ci fa subito capire che siamo di fronte a
una band di caratura superiore.
Risultato ottenuto soprattutto grazie a
loro due: Dave e Mal. Due musicisti pazzeschi. Il primo per la sua
particolare timbrica, graffiante, potente e calda al contempo, capace di
marcare a fuoco le sue interpretazioni e rendere ogni brano interessante e
sopra la media. E poi c’è Spooner: chitarrista particolarmente dotato, che, con
l’aiuto determinante di Les Hunt all'altra sei-corde, riuscirà a creare un sound sempre vario ed articolato,
senza che questo penalizzasse aggressività e incisività.
Ma se NOTD è un disco che, pur
rientrando a pieno titolo nelle sonorità della New Wave, ha legami ancora
marcati con il mondo hard rock settantiano, TUG è invece metallo puro.
Di “Dont’ Break the Circle”
abbiamo già detto: è il pezzo perfetto, la migliore espressione artistica della
band, un brano da ascoltare ad libitum (peraltro molto meglio la versione
originale, più epica ed emozionale, rispetto alla versione speed/thrash
del Guardiano Cieco).
Ma anche il resto funziona alla
perfezione, a cominciare dalla successiva “The Spell”, altro brano memorabile
in cui troviamo in maniera centellinata, e quindi mai ingombrante, partiture di tastiera che verranno riproposte più d'una volta nel
corso del platter (come ad esempio nella splendida “Victims of Fortune”, o
nell’obliqua e malsana “The Grand Illusion”).
Tra brani più veloci e
trascinanti (“Total Possession”) e mid-tempos rocciosi e molto ben strutturati
nel songwriting (“Sign of the Madman”, “Beyond the Gates”), troviamo anche i due
pezzi più rappresentativi del Demon-sound del 1982: la malvagia fino al midollo
“Strange Intuition” (una sorta di dark ballad in cui le inquietanti trame della band si esprimono nel loro modo più fulgido e coinvolgente,
soprattutto nelle strofe); e la conclusiva “Deliver Us From Evil”, un pezzo
bomba, con un ritornello cantato (e da cantare!) in coro a squarciagola e che mette
un punto esclamativo finale ad un album spettacolare.
E le sfighe? Senza di quelle non
si può rientrare nella nostra Rassegna…beh, su quel versante, come gli Angel
Witch e i Praying Mantis, i Demon non si fecero mancare nulla. In primis i
litigi con l’etichetta Carrere che, dopo il successo di TUG, chiese alla band
una maggiore "predisposizione commerciale", la realizzazione di orecchiabili hit
da classifica. Inutile dire che Hill e Spooner risposero picche, provocando la rottura del fortunato sodalizio.
E questo anche perché la direzione stilistica che la band
aveva deciso di intraprendere prevedeva ormai l’abbandono di tutto
l’armamentario dark/horror e la deviazione verso stilemi prog rock (non a caso
ci fu l’ingresso in pianta stabile del tastierista Steven Watts), tralasciando la componente più
propriamente metal.
E poi ci fu la mazzata:
l’improvvisa morte di Mal per uno scompenso polmonare, a soli 39 anni.
Da quel momento in poi,
nonostante la firma con l’intraprendente Clay records (che nel suo rooster
poteva addirittura vantare i Discharge) la carriera della band declinò in modo
notevole, non trovando più nel mercato le giuste risposte. I cambi di line-up,
come succede spesso in queste situazioni, si sprecarono. Nonostante un continuo
lavoro in studio e dal vivo, la band seguirà ad avere un fedele seguito solo
nell’underground, ottenendo, suo malgrado, lo status di "cult band".
Che dire? Si dovrà aspettare il
1983, e la pubblicazione di quel capolavoro immane che risponde al nome di
“Melissa”, perché il Metal nella sua versione horror e grandguignolesca trovasse
non solo l’erede dei Demon a livello di presenza scenica, ma anche di qualità
musicale. Tanto da essere superati in ciò che loro stessi avevano contribuito a
creare. E ovviamente stiamo parlando del buon Re Diamante e del suo Fato
Misericordioso. E non cito i Mercyful Fate a caso: andatevi a sentire l'intro di "Into The Unknown" (1996), quinto full-lenght dei danesi, dal titolo "Lucifer". Ricorda da molto vicino gli intro dei primi due dischi dei Demon. E non credo neppure sia un caso che l'opener di quell'album si titoli... "The uninvited guest"!
Se King Diamond ebbe il suo
modello in Cooper, suo idolo giovanile, di cui estremizzerà la teatralità e il
trucco, i Demon furono però coloro che per primi, come detto, seppero creare, applicandolo ai
nascenti stilemi heavy, quel mood luciferino, da colonna
sonora di film dell’orrore, in cui ci si aspetta da un momento all’altro che
qualche mostro demon-iaco, acquattato nel buio, sbuchi fuori all’improvviso e ci
afferri per il collo...
E allora si, dai, facciamoci afferrare emozionalmente dall’arte
musicale dei Demon, altra cult band di quel fiume dalla immensa portata che fu
la New Wave. Che anche dei Demon ha impresso indelebilmente il marchio.